AL CIRCOLO DE AMICIS DI MILANO VIENE PRESENTATO UN LIBRO CHE RACCONTA LA STORIA DELLE REPUBBLICHE PARTIGIANE. I GIOVANI NE SANNO QUALCHE COSA? GINO MORRONE FA UNA SCOMMESSA…..

Ci sono voluti 20 anni per arrivare a raccogliere e ordinare sistematicamente tutti i documenti, le testimonianze  e gli atti relativi a un periodo drammatico della nostra storia, a cavallo tra l’8 settembre del ‘43 e il 25 aprile del ’45, anni caratterizzati  da quel breve periodo in cui nascono le
cosiddette Repubbliche partigiane. A dare alla luce questa  raccolta, colmando un vuoto colpevole e incomprensibile, ha pensato l’editrice Laterza con un bel volume curato dal professor Carlo Vallauri, dal titolo appunto “Le Repubbliche Partigiane-Esperienze di autogoverno democratico”.

Il libro è stato presentato nei giorni scorsi al Circolo di via De Amicis 17 a Milano. L’evento è stato organizzato dalla Federazione milanese dell’ANPPIA in collaborazione con le altre associazioni partigiane. Sotto la presidenza di Mario Tempesta (che ha fatto le veci del Presidente Nazionale Guido Albertelli) e di Mario Artali presidente della FIAP e del Circolo De Amicis, sono intervenuti i relatori Arturo Colombo (dell’Università degli Studi
di Pavia), Giorgio Galli (dell’Università degli Studi di Milano) e Aldo Giannuli (dell’Università degli studi di Milano).

Ha moderato il Presidente della Federazione milanese dell’ANPPIA Gino Morrone ilquale in apertura dei lavori ha ricordato che per la presentazione di questo volume non si poteva scegliere uno spazio più adatto del Circolo de Amicis inquanto questa prestigiosa istituzione milanese è stata fondata da Aldo Aniasi quando era sindaco di Milano. Dal De Amicis sono passati tutti i presidente della Repubblica, Capi di Stato di numerosi paesi ed esponenti di spicco del mondo della cultura, dell’economia e dell’arte.

Il suo fondatore Aniasi, dopo essere stato per circa dieci anni alla guida diMilano per poi approdare a Roma dove ha assunto l’incarico più volte di Ministr e di Vicepresidente della Camera dei Deputati per un decennio, da giovane insieme a tanti altri suoi coetanei, piuttosto che rispondere al bando di arruolamento forzato dei nazisti nella Repubblica Sociale  di Salo’, era salito sulle montagne della Valdossola e della Val Toce per unirsi ai partigiani che in quelle zone combattevano duramente contro l’esercito nazista e i suoi complici fascisti. Per le sue doti di guida, aveva ben presto assunto il comando di alcune formazioni garibaldine arrivando a diventare comandante di divisione con un migliaio di uomini ai suoi ordini battendosi con coraggio e anche oculatezza militare al punto da guadagnarsi sul campo una medaglia al valore. Fu grazie a questa
guerriglia delle “mordi e fuggi” che i partigiani riuscirono a liberare, con l’aiuto delle popolazioni    locali, quei territori che, affrancatasi dall’oppressione nazifascista diedero vita a quella esperienza breve ma esaltante conosciuta come la Repubblica partigiana dell’Ossola, una delle tante
di cui si parla in questo volume curato da Carlo Vallauri ed edito da Laterza.

Riaprirono le scuole, uscirono in edicola i giornali liberi, ricomparvero le organizzazioni sindacali e tutte quelle istituzioni democratiche che il fascismo avevano soppresso, ivi  compreso le elezioni amministrative.Un altro motivo per cui il De Amicis era ed è deputato a ospitare manifestazioni
come queste – ha ricordato Morrone – è che la FIAP di cui Aniasi fu presidente fino al suo decesso ha pubblicato diversi libri sulle esperienze vissute in
quelle zone, da “Guerriglia nell’Ossola” a “Ne Valeva la pena”. A proposito di questo volume, scritto a quattro mani da Aniasi e da Morrone, va sottolineato che esso rappresenta una testimonianza diretta di quei fatti avvenuti nei due anni a cavallo tra il ’43 e il ’45 durante i quali i partigiani, soffrendo fame, freddo e altri stenti di varia natura, tennero testa a un esercito preponderante per mezzi e per uomini, dotato per di più di armi pesanti e di aerei.

Nessun partigiano ha mai pensato o detto che la guerra è stata vinta dai partigiani, ma per unanime riconoscimento dei comandi militari alleati è stato sottolineato che il conflitto sarebbe durato più a lungo e avrebbe quindi provocato più vittime e più danni. Morrone ha ricordato che avrebbe dovuto partecipare all’evento un altro eroico partigiano Amos Messori, il mitico D’Artagnan autore, con un manipolo di altri partigiani, dell’attentato dinamitardo al ponte di Ivrea. Gli alleati consideravano quel ponte di grande importanza strategico – militare tanto che
volevano bombardarlo ma i partigiani si opposero perché il bombardamento avrebbe comportato gravi rischi per la popolazione e le cose.

Morrone ha poi dato lettura di un messaggio inviato dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Ecco il testo: “Cari amici, avrei tanto voluto essere tra voi oggi e partecipare di persona alla presentazione del volume curato dal Professor Carlo Vallauri dedicato alle Repubbliche Partigiane.Gli impegni di questi giorni me lo impediscono, ma voglio comunque inviare un saluto e un ringraziamento all’ANPPIA, alla Fondazione Brodolini e a tutti gli
studiosi che con questo volume ci hanno fornito un nuovo, prezioso strumento per comprendere meglio le radici della nostra democrazia.

L’esperienza straordinaria delle Repubbliche Partigiane è stata una delle pagine più belle della nostra storia. Dalla lettura di questi saggi emerge con chiarezza l’appassionata e genuina voglia di democrazia di quelle migliaia di donne e uomini che per la prima volta dopo un ventennio di dittatura prendevano in mano, in prima persona, il proprio destino e quello del proprio Paese. La Resistenza appare qui in tutta la sua forza dirompente e rivoluzionaria: non  solo un movimento di lotta e di liberazione, ma l’espressione matura degli ideali e delle aspirazioni del popolo italiano, della sua capacita di costruire una società nuova sulle rovine lasciate dal nazifascismo.

Dopo l’esperienza delle Repubbliche partigiane l’Italia non avrebbe mai più potuto tornare ad essere quella di prima; il suffragio universale, anche femminile, la forza morale dei grandi partiti popolari di massa, la scelta democratica erepubblicana furono l’esito inevitabile di quelle esperienze coraggiose e in quegli esperimenti di partecipazione popolare si vede già quella carica propulsiva e innovativa che avrebbe trovato la sua espressione più compiuta nella nostra Costituzione.

Un libro interessante e attuale, quindi; una finestra su un periodo drammatico, ma entusiasmante della nostra storia che ci ha lasciato una eredità indelebile: penso alla partecipazione attiva del mondo femminile, al radicamento del sentimento antifascista ancora oggi cosi forte in quelle valli, al modello stesso di una democrazia diretta e partecipata che, oggi più che mai, merita di essere studiato, approfondito e compreso in tutte le sue implicazioni e in tutte le sue potenzialità, con lo sguardo rivolto al nostro presente e al nostro futuro.

E’ stata poi la volta di Mario Tempesta che e a nome anche di Guido Albertelli ha ringraziato il numeroso pubblico e
gli organizzatori della serata, ricordando che l’A.N.P.P.I.A è particolarmente orgogliosa di aver sostenuto la pubblicazione di questo volume in quanto le
Repubbliche Partigiane, definite lampi nelle tenebre illuminarono la resistenza italiana rappresentando un momento significativo del passaggio dall’Italia fascista a quella repubblicana.

L’ANPPIA Nazionale, ha proseguito, Tempesta ha ritenuto di pubblicare la ricerca “Le Repubbliche Partigiane” per
ricordare aspetti gloriosi della Resistenza italiana e confermare la comunanza di ideali tra Resistenza e Antifascismo. Migliaia furono gli antifascisti che, provenienti dalle carceri, dal confino, dai campi di internamento, dalle case
di tortura, entrarono nella lotta armata portando la loro fede politica nell’ambito della Resistenza.

Occupando spesso le posizioni di Commissario Politico rappresentarono un elemento culturale importante di guida,
negli esperimenti di amministrazione democratica delle “zone libere”, per i giovani provenienti dallo sbandamento dell’esercito, dalle diserzioni dalle
leve della Repubblica di Salò, da famiglie di operai e di contadini nelle quali da vent’anni era praticata con coraggio l’avversione al regime. E non tutti i
partigiani, che caddero, morirono in guerra combattendo l’oppressore; migliaia di loro furono trucidati contro i muri o impiccati agli alberi dei viali delle loro città. Ma tra il 1943 e il 1944 alcuni gruppi di patrioti, i meglio organizzati, costituirono nelle “zone libere”, quando queste assunsero notevole estensione territoriale e compresero un elevato numero di abitanti,  “Le repubbliche partigiane”,  preziose esperienze di autogoverno democratico, ancorché di breve durata;  istituzioni libere, che si dettero glistrumenti giuridici per rappresentare, governare ed amministrare i territori
liberati, ivi comprese la gestione delle fabbriche o le mense aziendali. Oltre a riempire i vuoti, queste esperienze
rappresentarono l’occasione di autoeducazione alla democrazia per gli amministratori, un modo per riprendere il controllo del territorio nonché  il ruolo di autorità locale.

Problemi come quelli della giustizia, dell’istruzione pubblica furono affrontati con encomiabile sistematicità, equità, valore e rispetto della persona; la validità delle iniziative, delle regolamentazioni e dell’afflato che le animava costituirono un esempio anche per i Padri Costituenti.

L’ANPPIA, l’Associazione fondata nel1946 da Sandro Pertini ed Umberto Terracini per riunire i perseguitati politici
antifascisti, ha voluto raccogliere un’idea e un lavoro della Fondazione Giacomo Brodolini in occasione delle celebrazioni del 70° Anniversario della
lotta per la Resistenza pubblicando questa preziosa ricerca nella convinzionedi dare un contributo interessante sulle origini della nostra Repubblica, dei
suoi valori e dei suoi principi. In questo momento storico, l’ANPPIA vede ancora attuali i fini per i quali è stata istituita, fini che sono quelli
di lottare affinché la Costituzione venga attuata in tutte le sue parti per non vanificare  le conquiste e gli ideali di tutti coloro che
si sono immolati per la Patria libera; di combattere il  fascismo rinascente in Italia e in Europa  in forme, talvolta
palesi, spesso occulte o dissimulate.

E’ notizia di oggi il pestaggio a Roma di immigrati asiatici da parte di giovani appartenenti alla destra romana.
Un fenomeno inquietante per l’elevato numero di aggressioni effettuate (50) dal novembre 2012. Un fenomeno che ricalca – da uno studio dell’”Osservatorio  sul razzismo e le diversità” dell’Università Roma Tre – quanto avveniva a Londra negli Anni Settanta da parte dei militanti
del National Front, la destra fascistoide inglese. L’Italia, però, è un Paese in cui i diritti umani rappresentano una priorità grazie alla Costituzione
Repubblicana, quella Costituzione – che come recita in un articolo lo Statuto dell’ANPPIA – è il patto civile nel quale si incontrano e si riconoscono tutti i democratici italiani. E poi intervenuto Roberto Cenati Presidente dell’ANPI provinciale di Milano il
quale ha parlato sulle Zone libere e repubbliche partigiane (giugno-novembre 1944) “Nel luglio del 1944 – ha scritto Dante Livio Bianco in Venti mesi di guerra partigiana nel Cuneese – si inaugurano le repubbliche partigiane. Intere valli, che prima erano soltanto controllate, poste
semplicemente sotto l’influenza dei partigiani, adesso vengono formalmente e permanentemente occupate; e poiché i partigiani costituiscono non un esercito invasore, ma un esercito di liberazione, giustamente si parla, più che di zone occupate, di territori liberati. Le formazioni hanno concluso la loro graduale calata, ed hanno proceduto al blocco stabile delle valli, facendo saltare ponti e strade: tutti i poteri civili e militari sono in mano ai comandi partigiani e ai CLN”. La rapida avanzata alleata autorizza a ritenere imminente la liberazione, nella tarda primavera del 1944.

Dopo la sconfitta tedesca a Cassino e la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate, il 4 giugno 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia lancia un appello per un offensiva generale: l’indicazione è quella di creare nelle zone liberate vere e proprie forme di governo amministrativo. Sorgono così le “Giunte popolari comunali”, le “Giunte popolari amministrative”, le “Giunte provvisorie di governo”, i “Direttori”, i “Comitati di salute
pubblica”. Queste alcune delle denominazioni che assumeranno i governi delle repubbliche. In un documento del CLNAI indirizzato ai CLN regionali e
provinciali si legge che spetta loro “assumere  la direzione della cosa pubblica, assicurare in via provvisoria le prime urgenti misure di emergenza per quanto riguarda la prosecuzione della guerra di liberazione, l’ordine pubblico, la produzione, gli approvvigionamenti, i servizi pubblici  amministrativi”. Si raccomandano inoltre la nomina di un sindaco e di una giunta comunale “in cui siano adeguatamente rappresentate le diverse organizzazioni locali”: lo scopo è quello di “realizzare l’effettiva partecipazione della popolazione alla vita del paese per fondare un regime progressivo aperto a tutte le conquiste democratiche e umane”.

I territori partigiani si costituiscono su un’area assai vasta. Pur concentrandosi prevalentemente nelle zone alpine e appenniniche, esse toccano anche ampie zone collinari e creano ai nazifascisti non indifferenti problemi di ordine militare
specie in Friuli. Pur in condizioni di estrema precarietà, l’esperienza delle zone libere, specialmente delle loro espressioni più compiute (la Carnia e
l’Ossola), rivela la maturità raggiunta dall’esercito partigiano. Dunque si manifesta sempre più la consapevolezza dei contenuti politici e sociali della
lotta armata e della traduzione concreta di un principio di rinnovamento della società in senso democratico. Significativo fu, anche in questa fase della Resistenza italiana, il contributo delle donne.  Gisella Floreanini viene chiamata a far parte del governo dell’Ossola, come commissario all’assistenza
ed è la prima donna a ricoprire incarichi di governo nel nostro Paese. Nel dopoguerra Gisella Floreanini sarà consigliere di Milano dal 1963 al 1968.

Osservava Massimo Legnani nel suo intervento sul significato delle zone libere nella storia della Resistenza italiana, nel convegno
internazionale di Domodossola  svoltosi dal 25 al 28 settembre del 1969 che “le vicende delle repubbliche partigiane
assumono importanza soprattutto se si cerca di guardare alla storia della Resistenza italiana anche come a un capitolo di storia sociale. Se conveniamo
che il principale tratto distintivo espresso dalle zone libere consiste nell’aver messo in stretto e diretto rapporto il disegno operativo – militare e
politico – del movimento clandestino con certi settori della società italiana di quegli anni, dobbiamo anche impegnarci ad analizzare gli effetti di
quell’incontro, le modificazioni che esso può avere prodotto nell’atteggiamento della popolazione da una parte e dei quadri partigiani dall’altra.”

Il termine zone libere pone in evidenza non solo il presidio militare  del territorio, ma anche la realizzazione in esso di interventi di carattere amministrativo e politico. Nei territori liberati si pone subito il problema di rompere la continuità con il precedente assetto, con la costituzione delle Giunte popolari Si abolisce la tassa sui celibi, si procede ad epurazioni, si impone come nella repubblica dell’Ossola, un contributo straordinario alle
società industriali e alle ditte locali in genere. La questione degli approvvigionamenti è quella che è destinata ad assorbire i maggiori sforzi
delle giunte.

La durata media delle zone libere varia da tre settimane a tre mesi e la loro caduta coincide con i cicli dei grandi rastrellamenti. Alba,
nel cuneese, fu liberata per tre settimane. Rimane storica la frase di Beppe Fenoglio nel suo libro I ventritre giorni della città di Alba: “Alba
la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre del 1944”. Ultime a scomparire sono le Langhe (prima metà di novembre
1944), Varzi (fine novembre 1944), Alto Monferrato e Torriglia (all’inizio del dicembre 1944).

L’esperienza delle Repubbliche partigiane fu particolarmente significativa, nonostante la breve durata. Le zone libere
restano uno dei risultati più tangibili intesi a trasformare la lotta armata in movimento di massa e rappresentano uno dei primi esperimenti di autogoverno democratico.

I tre professori universitari Colombo, Galli e Giannuli), nelle loro relazioni, sia pure da visuali diverse, hanno sostenuto che il volume curato da Vallauri indica con chiarezza e con una documentazione inoppugnabile e completa, che quelle brevi esperienze misero in mostra la capacità di autogoverno degli italiani di quelle valli e di quei territori dopo tanti anni di dittatura. Grazie alla convergenza di forze politiche eterogenee
nascevano nel ’44 le esperienze della Valsesia, Val Maira, Val Maraita, Valle di Lanzo, Langhe e Alba, Val d’Ossola e Alto Monferrato, Oltrepò pavese, zona libera di Carnia e Friuli occidentale, di Torriglia  e della Val del Ceno e Val Taro, Montefiorino e Bobbio.

Ha concluso Mario Artali: “Io non pretendo di trarre alcuna conclusione perché l’argomento è vasto e complesso. Ma una cosa la voglio dire subito: sulla lotta per la libertà in Italia ci sono state troppe semplificazioni che hanno contribuito a non farla capire o a farla
capire in maniera distorta. Le semplificazioni possono essere anche interessate come quelle per esempio di destra o di coloro che amano salire sul carro dei vincitori che è una tendenza tipicamente italiana, come abbiamo potuto osservare anche di recente in situazioni che non fanno parte del dibattito di questa sera. Quella di saltare sul carro dei vincitori è una calamità quasi irresistibile. E’ accaduto per la Resistenza alla fine della quale ci fu un forte ammiccamento verso il partito comunista che sembrava il più probabile vincitore. E’ accaduto anche nei confronti della Democrazia Cristiana quando la situazione politica cambiò e si delineava un nuovo assetto politico in Italia”.

Tornando alla Resistenza va sottolineato che c’era una idea della vulgata secondo la quale il PCI, legato a doppio filo con Mosca, aveva i soldi e i mezzi per potersi mettere al centro della scena politica Gli altri partiti antifascisti non hanno avuto un retroterra tale da agire da protagonisti: da qui divisioni e contrasti di opinioni che hanno impedito di fatto di unirsi per combattere insieme. La Resistenza non nasce l’8 settembre
del ’43. La Resistenza nasce con la nascita del fascismo Nasce così l’antifascismo in tutte le sue forme, non c’era una posizione idealmente più valida dell’altra, non c’era un pensiero unificante, non c’era una posizione con più dignità di un’altra . Ma i fatti parlano chiaro. Seicentomila soldati italiani, dicono no alla Repubblica Sociale rispetto a 60 mila che invece vi aderiscono.

Immaginate il coraggio di questa scelta. Stare in un campo di concentramento e sentire qualcuno che ti dice: da domani sei libero se ti schieri con la RSI . Una tentazione forte Seicentomila si rifiutano di dire viva Mussolini. Questa è la storia vera del nostro Paese. Perché questa scelta non è meno nobile di quella fatta da coloro che scelsero di salire sulle montagne per combattere il nazifascismo Quella scelta nasce da Carlo Rosselli che dice: oggi in Spagna domani in Italia Noisiamo figli di queste storie. Un gruppo dirigente come quello che nasce dalla resistenza (Pertini, Nenni, e così via) magari l’avessimo oggi. Pensate alla nascita della Costituzione:  gli ostacoli e i condizionamenti non sono pochi,  da una parte ci sono l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti, la Chiesa con le loro pressioni, dall’altra il popolo italiano che attende con speranza la rinascita del Paese.

Eppure in questo clima i padri costituenti riescono a trovare un accordo e a regalare all’Italia un libro delle regole che molti oggi ci invidiano. Noi
dobbiamo essere orgogliosi di questa storia che è riuscita, pur tra le diversità di opinione, a dare all’Italia democrazia, libertà di pensiero e benessere.

Oltre alle guerriglie partigiane vanno ricordati perché fanno parte della lotta di liberazione nazionale anche i tanti sacrifici di uomini e di soldati come per esempio quelli di Cefalonia, un massacro del quale per troppo tempo non si è parlato perché ad alcuni faceva comodo per egemonizzare, per attribuirsi  il merito della vittoria partigiana. Così si presentavano un fascismo e un antifascismo monocolori, cosa che non rende onore
alla verità. Noi dobbiamo tornare all’idea che i risultati alti raggiunti sono legati alla capacità degli opposti democratici  tesi a trovare una via comune per essere utili al Paese e ai suoi cittadini.


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