AL MART DI ROVERETO UNA MOSTRA DI RADICE E DI EL LISSITZKY E TANTI RICORDI TRA QUELLE MONTAGNE. SE NON CI FOSSE STATO IL MART DI BOTTA?

“Chi volesse prendersi la briga di approfondire con meditazione ed esperimenti i problemi dell’odierna pittura, si accorgerebbe ben presto che il cosidetto astrattismo, in senso vero e proprio, non esiste affatto, né può esistere…Tutto esiste già nel campo infinito della natura.” (Mario Radice). Questa frase contiene tutta la fisolofia di Radice e su queste basi, Giovanni Marzari, curatore della Mostra “Mario Radice. Architettura, numero, colore” ha voluto e saputo valorizzare la preziosa documentazione del Fondo Radice donato dalle figlie dell’artista al Mart di Rovereto, conservato nell’archivio del Novecento. Sto parlando di un patrimonio di 1700 pezzi, in prevalenza disegni e schizzi di un valore straordinario, ma anche opere pittoriche, plastici, progetti e ospere di design. Tra i materiali autografi si contano anche le numerose fotografie, qui esposti per la prima volta  e messi a confronto con opere straordinarie provenienti anche da altri musei e istituzioni nazionali.

Mi emoziona sempre venire a Rovereto guardare le belle case d’epoca e le montagne innevate intorno, dormire dall’amico Andreas in un paradiso di residenza dove i muri sono spessi sessanta centimetri, sentire l’odore del legno di montagna, fare colazione davanti a un gigantesco e antico camino e guardare nel lungo ed elegante giardino la fila di alberi sempre-verdi e il lungo viale che porta ad altre dimore; ma se non trovi il portoncino giusto non ci arriverai mai, è una vera e propria caccia al tesoro. C’è anche una piscina nell’altro giardino nascosto tra le mura, dove i suoi bambini si tuffano con gioia magari dopo avere fatto una sciatina con il suo papà.

Rovereto è una città ricca di giovani con centri studi e università. C’è il bel Museo di Depero e tanta cioccolata…ma ciò che più attrae ovviamente è il Museo D’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto progettato da Mario Botta, uno spazio immenso destinato non solo all’arte, ma anche alla musica e al teatro. La sua cupola è immensa in vetro e ferro dipinto di bianco. Una piazza all’aperto che da ospitalità a tutti. Ma torniamo a Radice che  si  lega con Terragni e per  me milanese solo quando passo in Corso Sempione posso ammirare la sua casa pensata per famiglie ricca di terrazzi e corridoi esterni. Radice è nato a Como nel 1898 ed è morto a Milano nel 1987), sembrava ieri; sembrava ieri anche quando si andava da studenti a Como a vedere la  Casa del Fascio. Il tempo è implacabile! E’ per questo  motivo che mi sono imposta una rilettura storico-critica sull’astrattismo italiano e cercare di comprendere le vicende delle origini del Movimento radicate in quel clima degli anni Trenta. Ho scoperto una nuova luce sui fitti intrecci con la stagione del razionalismo. Radice è stato il precursore e figura di spicco del gruppo degli astrattisti del ‘900 italiano. Oggi messo a confronto con architetti e pittori che costituiscono le espre  soni più elevate dell’avanguardia artistica italiana si riesce anche ad interpretare i fermenti e gli esisti di quel movimento cresciuto tra le due guerre, dominato dalla ricerca dell’armonia e contemporaneamente dall’ordine e dalla disciplina. Un ordine regolato si intende, dal culto della geometria, della proporzione e del rigore compositivo, dal “colore in quanto colore” e delle “forme in quanto forme”.

Insieme ai dipinti di Radice sono affiancate le opere degli artisti della Galleria del Milione di Milano (Reggiani, Soldati, Fontana, Melotti, Licini, Veronesi), degli artisti dell’area   comasca come Rho, Badiali, Galli e Cattaneo e di altri che si confrontarono su analoghe tematiche come Bruno Munari e Alberto Magnelli. Il percorso della mostra è cronologico e si divide prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale fino agli anni ’70 del Novecento. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Electa con saggi critici di Marzari, Irace, Barale, Selvafolta, Bacci, Zanoner, Ferrari,  Pettenella. Tra figurazione e astrazione si può ammirare anche un bel filmato o più…ma ciò che più colpisce è il fulcro della mostra, il bassorilievo realizzato per la Sala del Direttorio della Casa del Fascio di Come progettata da Terragni nei primi anni Trenta e l’approfondimento del  sodalizio con Cesare Cattaneo, il giovane e geniale architetto con il quale Radice realizza la Fontana dii Camerlata costruita nel 1936 per il Parco Sempione per la VI Triennale di Milano. Curiosa è anche la serie di piccoli dipinti e disegni denominati “Colli” che l’autore realizzò tra il 1939 e il 1944 dove vengono registrati gli orrori della guerra e il presentimento della fine di una stagione artistica vissuta tra le difficoltà politiche del fascismo. Nel catalogo che accompagna la mostra, Cristian Collu che apre con una considerazione positiva sul gioco del calcio da parte di filosofi e intellettuali…si vince e si perde, un po’ come Radice che di guerre ne ha vissute tante. Attraverso la metafora di questa messa in scena si “sostituisce un paradigma cognitivo e un’idea di pluralità e di dinamismo..anche se il pallone non va a segno. “L’invenzione non è solo il goal” come sosteneva Pasolini, l’ineluttabile e folgorante tiro che da la vittoria. Il calcio è metafora dell’esistenza, come lo è l’arte…in generale. Per Eliot era un gioco, un  elemento fondamentale della cultura contemporanea. Niente vi è di più ludico che fare rotolare una sfera.

Fino all’8 giugno anche un’altra bella mostra al Mart a cura di Oliva Maria Rubio, “El Lissitzky. L’esperienza della totalità” nato a Pocinok, Smolensk nel 1890 e morto a Mosca nel 1941. Anche qui, pittura, fotografia, architettura e design confluiscono.. Per l’artista l’arte doveva rispondere a un’esigenza di cambiamento , uno slancio utopistico, l’esperienza della totalità che contraddistingue le avanguardie russe. Prima l’adesione alla Rivoluzione d’Ottobre, poi la costruzione del nuovo. Dopo avere studiato architettura al Politecnico di Darmstad in Germania e a quello di Riga in Russia, l’artista esordisce negli anni della rivoluzione con opere astratte che si legano al Suprematismo di Malevic. I suoi primi disegni li chiama “Proun” acronimo in russo di “Progetti per l’affermazione del nuovo”. Le prime ricerca fanno si si che le forme sembrano ruotare intorno a se stesse. Negli anni Venti in Germania El Lissitzy entra in contatto con le avanguardie europee, i dadaisti, Kurt Schwitters e Hans Arp e glia rchitetti del neoplasticismo olandese. Espone le sue opere a Berlino e ad Hannover e stringe molti rapporti con l’ambito editoriale. Nel 1927 sposa Sophie Kuppers. Rientra in Russia, allestisce mostre e realizza padiglioni sovietici. Negli anni Trenta cura la veste grafica di 17 numeri della rivista “Urss in costruzione” , strumento di propaganda sovietica; foto e collage vengono usati per comunicare messaggi ideologici. Dopo la pittura si dedica alla scoperta del fotogramma, a nuove tecniche come l’esposizione multipla. Di grande efficacia il manifesto della mostra, come quello dell’esposizione di Radice; l’addio a un soldato al fronte russo e una partita di pallone. Mi ha sempre colpita una cosa: Lissitzky non si complimentò mai con il maestro Malevic (suprematista), in fondo dal suprematismo al costruttivismo o viceversa, il passo fu breve….


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