ALMODOVAR E LA SUA JULIETTA

Luciana Baldrighi

da Cannes

Come in un rito pagano, le ceneri del pescatore vengono sparse su quel mare che era stata la sua vita, dove comunque avrebbe voluto riposare e dove alla fine in una tempesta ha trovato la morte. L’anziana domestica ha lo sguardo feroce delle Furie quando si accaniscono sulle loro vittime, Il Fato assume le sembianze di uno sconosciuto che attraversa il tuo cammino, ti lancia un segno che non cogli e per quella mancanza ti condanna. Lungo i binari della ferrovia, un cervo corre in parallelo al treno, un segno panico che sa di desiderio e di sacrificio. In una vagone la ragazza legge un libro sulla tragedia greca: è la sua materia, la insegna, ancora non sa che segnerà la sua vita. Il verso di una canzone, “nell’istante in cui tu te ne vai/io muoio”, riassume in sé tutti gli abbandoni e i silenzi che popolano le nostre esistenze, il lutto che li accompagna, il tentativo di elaborarlo. Quando non ci riesci, ritornare a ciò che è stato è come una droga: può uccidere se non hai l’accortezza di usarlo a mo’ di farmaco, l’antiveleno fatto di veleno che Mitridate re del Ponto utilizzò per trionfare sui suoi sicari…

FESTIVAL DI CANNES 2016 - PHOTOCALL FILM JULIETA

Con Julieta, ieri applauditissimo in concorso, Pedro Almodòvar rivoluziona completamente il proprio cinema, elimina qualsiasi traccia di melodramma, di opera buffa e di eccessi, mette la sordina all’eterno cicaleccio con punte di isteria del suo universo femminile, si riconcilia con quello maschile a cui riconosce una dignità, sobrietà e altruismo prima negati. Il risultato è un film tragico, dove non ci sono carnefici, ma solo vittime, si è colpevoli senza volerlo, si è giudicati senza che lo si sappia e ci si possa difendere. Tratto da tre racconti di Alice Munro, il film racconta la vita passata di Julieta, giovane e brillante professoressa di lettere classiche, scritta a distanza di anni dalla Julieta che ne ha preso il posto: in quell’arco di tempo c’è stato un matrimonio, è nata una bambina, Ania, poi il marito è morto e la figlia a un certo punto se n’è andata, così, senza lasciare traccia, senza dare una spiegazione. E’ una vuoto che ha finito con il riempirle in negativo la vita e anche se a un certo punto ci sarebbe la possibilità di dire basta e di ricominciare tutto da capo, con un nuovo amore, maturo e sicuro, e in un altro paese, Julieta sente che andare via non vuol dire rinascere, ma morire definitivamente. Anche se restare lì dove tutto è cominciato e finito, assomiglia a una morte a credito, giorno dopo giorno…

In un’ora e mezzo scabra e fatta di ellissi e sapienti artifici (il volto di Julieta giovane che davanti allo specchio e sotto le mani della figlia si trasforma nella donna sofferente che è diventata) Almodòvar fa il film che meno gli somiglia e che però più lo rappresenta. “Parlo del destino, della colpa, dell’incertezza, di quel mistero insondabile che ci spinge ad abbandonare chi amiamo, cancellandoli dalla nostra vita come se non fossero mai esistiti”. Interpretato da Emma Suàrez (la Julieta che racconta) e Adriana Ugarte (la Julieta giovane), con Daniel Grao nella parte di Xoan, il marito che morirà in mare, e Dario Grandinetti in quella di Lorenzo, l’uomo che vorrebbe darle una seconda chance, il film ha in Rossy de Palma una delle chiavi di volta. E’ lei la domestica di Xoan, segretamente innamorata del suo padrone, gelosa della sua padrona, paziente nel cogliere l’occasione per finalmente vendicarsi, un richiamo a Le serve di Jean Genet, all’apparenza fedeli e poi assassine perché rimproverate, insopportabile umiliazione…

“Negli altri miei film –dice Almodòvar- c’erano sempre delle madri. Avevano come modello la mia, le sue amiche, quella generazione, insomma. Qui invece, questa madre, la sua solitudine, rimandano a me stesso, raccontano di me. Julieta parla dell’impossibilità di dimenticare, della memoria come dolore”.

Tutto nel film rimanda a un’idea della colpa come malattia morale, una sorta di sentimento che si trasmette di madre in figlia, avvelenando la vita dell’una come dell’altra. Fatalità e destino sono ciò che lo governa e che ne accentua il senso di fallimento. Eppure, nella partita fra il Fato e il Destino non è mai certo dove si situino i confini. Spiegando ai suoi studenti l’Odissea, Julieta sa che il primo mise Ulisse in mano a Calipso e il secondo lo riportò a Itaca… Nel cercare un perché della scomparsa della figlia, anche lei cerca il modo di uscire dall’incantesimo malvagio che tiene imprigionata la sua vita. E forse anche per lei c’è all’orizzonte un ritorno a casa…

 


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