CIAO ENZINO, TE NE SEI ANDATO CON IL SORRISO SULLE LABBRA DA VERO SALTIMBANCO CON LE SCARPE DA TENNIS E LA SCIARPA DEL MILAN
Quel Jannacci pianto dalla sua Milano oggi in camera ardente al Teatro Dal Verme per l’ultimo saluto e domani (martedì in Sant’Ambrogio i funerali), lo conoscevo bene. Avevo 14 anni quando lo scelsi come medico della mutua. Aveva lo studio in via della Guastalla, era cardiochirurgo e soprattutto un poeta, un saltimbanco, un musicista e un uomo di teatro dalla mimica straordinaria. Diventammo subito amici e la prima cosa che mi curò fu un terribile mal di testa che mi colpiva da anni impedendomi persino di vedere; dopo una prima serie di punture quel fenomeno mi scomparve per sempre. Già questo gli valse la medaglia d’oro come medico. Come saltimbanco e musicista ci capimmo immediatamente: iniziai a lavorare a special televisivi con la Rai e partecipammo a varie trasmissioni. Una volta a “Domenica in”,suonando la testiera e ballando sulle punte con il mio tutù da ballerina classica non so cosa successe, ma a metà di una canzone si ruppe un cubo di vetro e io sprofondai tre metri sotto il palco televisivo pieno di cavi elettrici. Pippo Baudo e Enzino (così lo chiamavamo tra amici forse per via di quel finto sorriso da innocente per il quale lo soprannominavamo “il torbido”, ma la sua anima era veramente dolce senza nulla togliere a quella “follia” che gli ha permesso artisticamente di arrivare dove è arrivato), mi sollevarono con il massimo della cautela perché non prendessi una scossa elettrica delle più potenti. In quel periodo eravamo spesso a Roma anche per registrare una trasmissione con Milva, per la quale Jannacci scrisse i testi e compose le musiche per l’ellepi “La Rossa”…tutti ballavamo e cantavamo in scarpe da tennis, jeans, maglietta bianca e giacca da uomo blu. Ne uscì un capolavoro. Molti di quei testi li compose a casa mia, da Andrea Bolla, da Gino e Michele, al mare, nella casa alle Cinque Terre di Moneglia che prendemmo in affitto con amici: una volta, venendo da Milano, dopo una lite con una amica comune, Rossella, prese a folle velocità il tunnel stretto che introduce al paesino e “fece” tutti i fianchi all’auto, specchietto compreso. E a proposito di auto, la mia seconda macchina una 500, andai con lui a prenderla usata da un tizio che stava al parco Lambro; Enzo la provò e trattò amche il prezzo.
Fui io a farlo conoscere al Bolla, a Mozzati, Vignali, a Elena Caprara, Ranuccio Sodi, ad Alberica Archinto, ai miei amici del lago, a mio fratello Angelo che condivideva con lui e Andrea note al pianoforte e alla chitarra e a tanti altri…compreso quello che poi divenne mio marito, Stefano Parodi. Lui mi fece conoscere Giorgio Gaber, con il quale lavorara con successo già da tempo. Volle che proseguissi i miei studi di chitarra al conservatorio, ma rimasi sempre una dilettante anche se in scena funzionavo. Quando decisi di fare l’attrice al Pierlombardo selezionata da Andreè Ruth Shammah e dal regista del “Don Giovanni” di cui dovevo essere protagonista, Rossi, con musiche di Arturo Annecchino (con quest’ultimo nacque un sodalizio che durò tanti anni, perché insieme facemmo pièces teatrali con testi e regia firmate da me), ancora una volta Enzo mi aiutò: impostammo insieme un testo di Chico Buarque de Hollande e musiche sue, dove io a tempo di musica, fingendo una sorta di playback, lasciavo cadere dei fogli per terra. Piacqui anche per il mio viso tutto acqua e sapone e per i miei capelli biondi, due occhi dallo sguardo furbetto…nonostante quello fosse intellettualmente un periodo di impegno politico e a me piacesse fare l’esistenzialista, anche se alcuni problemi li sentivo sulla pelle. Molti di questi problemi li buttai fuori con Enzino in una bella casa in campagna dove c’era un suo amico medico psicologo. Camminammo tanto nei boschi in quei giorni e nacquero tante idee teatrali e canzoni che poi Jannacci scrisse. Poi ci trasferimmo a Firenze, dove mi fece conoscere il suo amico Delliguanti. Piano piano mi fu aperta la via alla Rai per varie trasmissioni anche mie, alla radio e Patroni Griffi mi volle nel suo teatro.Con Enzo vinsi anche una Gondola d’oro al Lido Venezia: la sede era il Casinò o il Palazzo del Cinema non ricordo…A Venezia ero iscritta a Lettere e Filosofia a Ca’ Foscari dove mi laureai in una tesi sull’architetto Luca Beltrami e portai una tesina su “Il fotodinamismo futurista di Anton Giulio Bragaglia”. Fu un 30 e lode ed enzo i regalò una lampada di Aladino da strofinare all’occorrenza.
A una mia “prima” io ero molto agitata e provammo fino a un’ora prima dell’inizio della spettacolo a Milano. Avendo assistito alle prove, mi diede dei suggerimenti e mi portò a casa sua; mentre sua moglie mi cucinava qualche cosa di caldo mi fece fare un bel bagno con le bollicine e mi diede un Tavor e mi rimise a nuovo. Tutto andò per il meglio, naturalmente mangiamo tutti insieme dopoteatro con il resto della compagnia.
Per tornare a Roma passai con lui, Nanni Ricordi, Craxi, Martelli… delle nottate divertenti, indimenticabili. Mi fece conoscere Monicelli, andammo a mangiare a casa della Vitti dove conobbi tra i tanti Fabio Testi, che si era appena sposato, e sfrecciammo sulla sua auto alle cinque della mattina lungo il Tevere. Entrai nel salotto di Arbore e fu tutto una sorpresa.
La seconda volta che Enzino mi salvò la vita fu una notte di Natale; erano già passati due mesi e con gli antibiotici non mi andava via la polmonite: lui sotto ricetta del suo grande maestro e primario del Sacco, il professor Rovati, mi iniettò in vena quello che sarebbe dovuto scendere da una flebo lentamente in non so quante ore di tempo. L’indomani ero rinata e dalle radiografie non rimase nemmeno il segno di una cicatrice. La notte io dormii, ma intorno a me sapevano che vi erano le persone a me più care al mondo. Un’altra volta mi salvò da un’otite, che presi per un aereo mal pressurizzato andando a Roma. Si doveva provare con la Bertè, tutto andò bene, poi lei si sentì male ed essendo tutti nello stesso albergo, il Rafael, mi pare (ci andavamo sempre), salvò anche lei da un attacco di panico molto forte.. dovuto a una depressione credo. E a proposito di depressioni, Enzo ne sapeva qualche cosa: spesso “curava” da solo altre volte sceglieva la via della clinica, ma era sempre lui a dettare la “legge”, persino con gli psicologi. Poi tutto passava come un baleno: c’era la palestra di Shirai, CSKS, la prima e la più importante di Milano, e quella di Festorazzi dove da cintura nera di karatè insegnò a tutti noi come difenderci. Una volta la nostra amica Giusy svenne. Teddy Festorazzi gli rimase sempre vicino, un altro sensibile con la pelle da leone e con il cuore d’oro. Piaceva a tutti Enzino..anche se qualcuno si lamentava del casino che c’era in via Mameli dove ha abitato per tanti anni: era una sorta di sala prove e sul terrazzo se ne sentivano di tutti i colori. Cochi e Renato, Dario Fo, Rossi, Teocoli, la Vanoni, Celentano e tanti altri lo rimpiangono. Ma c’è Paolino, suo figlio che canta e suona bene e gli assomiglia tanto….
Quando Gaber si convinse di iscriversi a Filosofia in Statale, passavamo pomeriggi e serate nella sua villetta a Città Studi, tra ripetizioni di testi e composizioni di canzoni come “Io se fossi Dio”…e Enzo lo accusava sempre di avere il frigor vuoto, nemmeno una Coca Cola…Che belle le giornate trascorse a Salice, a casa sua, sul Lago Maggiore prima a Laveno, poi a Caldè, dove avevamo la casa io e Pozzetto e poi a Portovatravaglia dove stava Fo’ (figlio del capostazione) e Svampa.
L’ho visto poco in questi ultimi tre anni: con una sua accompagnatrice, un’amica, andava a trovare un’altra amica che lo aiutava nella ricerca del perché dell’esistenza umana e del perché della morte. “Sto cercando Gesù”, mi disse la penultima volta, tutto imbaccuccato nel suo cappottone di cammello, lui che era ateo ma si sa che tutti noi di quel conforto a un certo punto della vita ne abbiamo bisogno. L’ultima, forse sei mesi fa, prima di Natale, ci siamo baciati in via Torino con la promessa di andarlo a trovare. In areo, tornando da Parigi dopo Capodanno incontrai suo figlio Paolo (padre anche lui) con la moglie e mi disse che Enzo stava poco bene. Per la Comunione o Cresima di Paolo, Enzo e la moglie Giuliana soprannominata Pupa, vollero Andrea Bolla e me come padrini. La Pupa lui la soprannominava anche Zelda, il nome della moglie di Scott Fitzgeral perché simpaticamente diceva che lo tirava pazzo o che lei era pazza…ma Pupa ebbe tutta la vita una pazienza da santa. Ad Alassio d’estate ,nella villa di lei, Enzo invitava gli amici del cuore, si facevano bagni, si andava in surf e una volta si tagliò una mano e se la ricucì da solo in cucina. Io per poco non svenni. In quell’occasione conobbi anche la cognata o la sorella della Pupa che giocava a golf ed Enzo che era aperto a tutte le sfide anche quelle sportive si buttò sul green. Il giorno dopo io partii in treno, perché dovevo andare in Austria.
Sono rimaste tante belle foto, cassette di spettacoli e spesso diceva a chi in quel momento era il mio compagno che nessuno sarebbe riuscito a tenermi: oggi come oggi che ho dei figli e che sono divorziata, non so se ciò che lui leggeva in me fosse un bene o un male.
Piaceva tanto anche a mia sorella, a mia madre e a mia nonna. Era un uomo che sapeva farsi amare e perdonare. Parlava spesso di sua madre, Maria e di suo padre che voleva che facesse il medico. Prima si iscrisse al liceo classico, poi allo scientifiico, nell’anno della maturità se ricordo bene conobbe sua moglie. La mia allora amica del cuore, Viviana ne fu conquistata come tanti. A Roma i miei amici si mischiavano ai suoi, nel frattempo crescevano anche le mie conoscenze e riuscii a realizzare un altro sogno, lavorare in una galleria d’arte e di fotografia, così la passione che fu di mio padre divenne anche la mia. Enzo lo sapeva che era sempre alla ricerca del padre mancato (morì che avevo un anno) e parlavamo spesso di questo “buco” che mi condizionò anche la vita affettiva. Lui voleva che continuassi a stare con il nostro caro amico Andrea, ma tra il razionale e l’irrizionale, da giovane scelsi l’irrazionale: era come scegliere se essere Narciso o Boccadoro (Hesse).
Ieri quando l’ho visto nella bara in giacca e cravatta, con i suoi occhiali, aveva un sorriso sulle labbra, forse ironico, come con ironia prese gran parte della sua vita perché visse in maniera surreale, come sono surreali molte sue canzoni, a parte quelle strettamente milanesi. L’Ortica, I Navigli e gli operai e quella bella canzone della colonna sonora del film Romanzo Popolare “Vincenzina davanti alla fabbrica…”. Dopo mio nonno, il padre di mio padre non volli vedere più nessuna persona in una bara con il viso cereo, non volli vedere nemmeno mia nonna e neanche mia sorella, ma vedere Enzino mi ha dato una forza e un senso di riconoscenza è scattato in me. Una riconoscenza diversa da quella di un parente, sto parlando di un’amicizia vera che arriva fuori dall’ambito familiare. La bara di Gaber al Piccolo era chiusa quando la vidi io. Ma i funerali a Chiaravalle, quelli si che me li ricordo, sembravano funerali di Stato, forse lui non li avrebbe voluti. E chissà cosa avrebbe voluto Jannacci?! Forse “Vengo anche io…”, “si tu si!”. Parappapa parappappa pairà…. Ore 14.45 tutti in Sant’Ambrogio!