Due geni al declino: Lucio Dalla muore e Lou reed compie 70 anni

Viaggio a caccia di due grandi nomi, uno perduto per sempre, Lucio Dalla e l’altro al declino, Lou Reed. Il primo italiano, l’altro americano, entrambi hanno amato il teatro e la musica e sono diventati un mito per più generazioni, poco importa se altri sono stati dimenticati nel ghetto fuori dalla storia, oggi è giusto parlare di loro perchè in 30 mila hanno sfilato silenziosi al funerale di Bologna domenica per raggiungere San Petronio alle 14,30, ora della cerimonia e nello stesso giorno un altro grande del mondo dello spettacolo ha compiuto 70 anni dicendo: “Sono fortunato mi reggo ancora sulle gambe” e detto da un grande del rock che già a 14 anni visse l’orrore di subire un elettroshock in nome del superamento delle “turbe omosessuali”, ha dell’incredibile.

Oggi che di vecchiaia non se ne vuole più parlare e sono tanti i nonni anche meno famosi che vestono come i loro nipoti o come i loro figli, questi eroi, chi morto e chi la morte se la sente già dentro, con i quali tutti ci siamo identificati e grazie alle loro canzoni ci siamo consolati e divertiti, sono diventati improvvisamente simbolo anche dei giovanissimi che di complessi o di cantautori italiani e stranieri ne hanno tanti di nuovi, eppure la morte di Dalla o i 70 anni di Lou Reed fanno un cero effetto. Un effetto non poi tanto da farci stare male dentro, parlo di noi che siamo della generazione più vicino alla loro e che con noi sono cresciuti e diventati sempre più famosi. Forse che le nuove generazioni non hanno saputo sfornare dei Lucio Battisti o dei Rolling Stone? Quando è morto Johm Lennon, ucciso in America da un fanatico, la nostra generazione ha capito che non solo morire era così facile, ma anche che i divi possono morire, ma parliamo di autori con i quali siamo cresciuti e con i quali siamo diventati grandi.

Persino l’assessore alla cultura del Comune di Milano, Boeri ha ricordato che Dalla aveva dedicato a Milano una bellissima canzone nella quale si elogiava il suo carattere allegro e produttivo, una canzone molto bella che può essere nel cuore di tutti, ma mi sembra che anche un fatto tragico, possa diventare elemento di “propaganda”, seppure bonaria e magari per un pezzo in buona fede, ma dal momento in cui si emette un comunicato stampa solo con questi riferimenti, mi fa sorgere dei dubbi…Eppure Dalla l’ho conosciuto anche io e ai suoi concerti sono andata e di cose davanti al mare di Alghero me ne ha raccontate, non come quel ritroso del suo partner De Gregori che è sempre stato non si sa se schivo o antipatico, snob con tutto.

Tra le tante una grande cosa Dalla l’aveva, la voglia di stare con tutti di conoscere e di farsi conoiscere che per un divo è un fatto che ha dell’incredibileTornando alle lacrime del popolo di Lucio a Bologna e le belle frasi come “ti respiriamo”, riferite a Dalla o il ricordo messo di sottofondo alla morte del bravo cantautore “Vorrei girare il cielo come le rondini. E ogni tanto fermarmi qua e là. Avere il nido sotto i tetti al fresco dei portici. E come loro quando è la sera, chiudere gli occhi con semplicità…”, una sua canzone che rispecchia come Dalla sia volato in cielo, forse con serenità, come tutti ci auguriamo, lui che di fede ne aveva tanta,  tutto si presta alla commozione e alla speculazione dei media, forse rivolti anche ai giovanissimi che di Dalla poco sapevano se non le sue canzoni più noteMa se tutto ciò sta in questi termini ben venga anche la comunicazione più studiata.

Il folletto-menestrello di Dalla ha avuto la sua messa domenica 4 marzo, così come Lou Reed è stato festeggiato a partire da sua moglie, Laurie Andersonbrava anche lei muoversi in campo della comunicazione che nonostante a divo del rock non importasse poi tanto. Ma se non gli importava poi tanto, perchè si è fatto fotografare per i suoi 70 anni posando appositamente per La Repubblica sotto l’obiettivo di Timoty Greenfield, il noto fotografo, Premio Grammy per documentario Lou Reed: Rock and Roll Heartth? “Ero uno che dormiva sui treni ora faccio rock dentro un ufficio”, questo ha detto larockstar che “amava passeggiare sul lato selvaggio della vita”. Se gli si chiede quale è il peso della celebrità lui risponde “Andatelo a dire ai minatori” e se gli domandi cosa pensa della questione dello Stato di Israele dice: “Trasformiamolo nello Utah”. Eppure Lou Reed che fortunatamente si regge ancora sulle sue gambe, ha ancora gli incubi di un debuttante alle prime armi: “Mi trovo nel deserto e ho dimenticato le scarpe. faccio per predere l’autobus e non riesco più a trovare il biglietto. Sono sull’autobus e ho dimenticato la chitarra. Finalmente arrivo al concerto ed è già tutto finito”.

 Una carriera lunga, sofferta, provocatoria da vero rockman. Chi non ricorda i Velvet Underground fondati da Andy Warhol ai Metallica, poco amati dai critici che solo lui poteva interpretare insime a Lulu, il capolavoro “espressionista” di Frank Wedeking?! Eppure è proprio lo stesso Lou Reed dal suo studio nell’West Willage a dire che lo odiano. Ma nessuno scorda la sua ultima apparizione diciotto anni fa nel film “Blue in the face” di Paul Auster. Un attore nato, ma non ha potuto farlo a causa della sua scarsa memoria e così ha iniziato a scrivere i suoi monologhi come se fossero delle piccole commedie. Musicarle non è stato difficile. Lou Reed odia i giornalisti e il loro modo di dare un voto a tutto, di fare paragoni; non sopporta che la sua vita sia su You Tube. Forse anche a causa della morte di Amy Winehouse perseguitata dallas tampa senza scampo. Allora dove sta la realtà e dove sta la finzione di tutte le cose? Una non si nutre forse nell’altra? Ma i giovani iniziano a farsi sentire nei giornali come in politica, sempre se hanno la fortuna di poterlo fare attraverso un mezzo ufficiale, oppure sono destinati a scambiarsi opinioni e a imprecare e amare solo attraverso la rete?


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