Il 68 francese dei giovani raccontato senza retorica

“Après mai”, di Olivier Assayas , presentato in concorso oggi al Festival di Venezia è un bel film che riconcilia con il grande schermo, dopo le troppo narcisistiche e spesso presuntuose priezioni di registi di grido che hano fondamentalmente deluso. Nella Parigi dell’inizio anni Settanta, Gilles è un giovane liceale preso dall’effervescenza politica e creatrice del suo tempo, come i suoi compagni esita tra un impegno radicale e delle aspirazioni più personale. Fra relazioni amorose, rilevazioni artistiche e perplessità ideologiche, in un viaggio che attraverserà l’Italia e finirà a Londra, Gille e i suoi amici dovranno fare scelte decisive per trovare se stessi in un epoca tumuoltuosa.

Ben girato, con attori giovani esordienti quanto convincenti, una ricostruzione d’ambiente accurata e senza sbavature, una colonna sonora d’epoca magistrale, “Après mai” è un film che non concede niente alla retorica ne ak reducismo e che mette ben in evidenza l’eccesso della realtà politica di queglianni, l’utopia di una classe operaia nella quale i giovani e piccoli borghesi intendevano confluire, le meschinità e la cicità del mondo extra parlamentare di allora pronto a sbranarsi per ogni critica e a denunciarsi vicendevolmente “deviazionismo”.

Secondo Assayas non si tratta di un film autobiografico. “L’autobiografia al cinema non funziona. Si scrive sempre con i ricordi, più o meno deformati, più o meno idealizzati, specie quando si tratta dell’adolescenza, l’età in cui le immagini più forti si scrivono quasi a nostra insaputa. Credo moltissimo alla gioventù come fonte d’ispirazione, come verità intima alla quale bisogna costantemente confrontarsi”.

Nato nel 1955 Assayas è cresciuto è cresciuto durante gli anni SEttanta. “C’è una frase che nel film prunucia Gilles nella quale mi riconosco abbastanza e che dice: ‘il reale bussa alla mia porta e io non apro’. Come lui anche io da ragazzo avevo la sensazione che la vita fosse altrove e che il mondo mi sfuggisse. Come Gilles anche io ero permeabile certamente allo spirito dell’epoca ma non al punto da lasciarmi ingannare ne da rimanerne vittima”.

“Après mai” è anche una storia di viaggi e di vicanze militanti, di una sessualità più libera, del bisogno comunque di dare delle risposte e di trovare comunque un senso. “Lavorando con dei diciottenni di oggi mi sono accorti di quelle che sono le differenze delle problematiche giovanile rispetto a quelle della mia generazione che oggi appare quasi un reperto archeologico”. Per esempio allora era tutto un dibattere sulla storia del movimento operaio oppure sulle sfumature quasi bizantine di tutte correnti che costituivano l’estrema sinistra del tempo. Tutte cose oggi totalmente estranee al loro universo di valori. Così come lo stesso concetto di cultura politica è per loro assolutamente incomprensibile. Gli unici punti di contatto rimangono la moda e la musica e poi forse, e questo è comunque essenziale uan certa forma di idealismo.

Dal punto di vista delle ììmmagini (la fotografia è di Eric Gautier), il fim si apre con una bellissima scena delle manifestazioni del 9 febbraio del 1971 an Place Clichy, quattro anni dopo i fatti del maggio francese, e degli scontri sanguinosi con la polizia per poi muoversi “On the Road” fino al Parco dell’Ostello a Firenze, dove in un’atmosfera campestre neoimpressionista, i giovani imparano meglio a conoscersi e ad amarsi e persino a rifiutarsi. Il film che consiglio di andare a vedere non è adatto a chi ancora guarda al proprio passato con gli occhi del reduce o del nostalgico, ma è comunque  interessante per chi quel passato lo ha elaborato criticamente e quindi superato. Però uno spettatore giovane troverà in quel mondo e in quella atmosfera febbrile elementi di interesse e di paragone con la propria piatta realtà.


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