A MILANO LE NATURE MORTE DI CHRISTOPHER BROADBENT ALLA GALLERIA CURTI/GAMBUZZI & CO. VERE OPERE DI STILL-LIFE

Non sono poi così dissimili dalle nature morte di Caravaggio, quelle del fotografo inglese Christopher Broadbent esposte per la prima volta tutte insieme in un’antologica alla Galleria Curti/Gambizzi & Co di via Pontaccio 19 nel cuore di Brera e a due passi dal Duomo. In questo caso si tratta di fotografie raccolte per una mostra curata da Philippe Daverio dal titolo e aperta fino al 16 gennaio (aperta da luned’ a venerdì dalle 11 alle 19 e sabato su appuntamento. Tel. 02-86998170).

Non solo fiori in brocche o in vasi, ma anche oggetti comuni che convivono con noi nelle nostre case, utensili da cucina, tavoli…consacrati da uno scatto fotografico da questo protagonista che ha visto nell’arco della sua carriera cosa significa passare dalla pubblicità alla direzione creativa di spot televisivi, ma la fotografia per Broadbent sembra sempre essere stata l’arte più approppriata,  lo still-life in pochi sono riusciti a farlo. Consacrato in pittura come genere artistico verso la fine del Seicento e ora rivisitato attraverso una quarantina di opere selezionate che hanno come protagonista assoluto un soggetto immobile ricco di colori atmosfere, natura e cose insieme per sempre vive e morte al tempo stesso.

Catturare la transitorietà della bellezza è come cogliere l’effimera condizione dell’esistenza, l’autore mostrandoci come gli oggetti siano al pari della vita, ossia trascorrere da  uno splendore massimo alla veloce caducità ci fa pensare e nel contempo ci fa immergere in raffinati momenti, icone del nostro tempo, in una dimensione di profonda intimità.

Il manierismo di Broadbent si avvicina proprio ad un effetto pittorico che nelle opere viene accentuato dall’attenzione per illuminazione da parte dell’artista, i chiaro-scuro e i lunghi tempi di posa richiesti da questa visione che l’autore ha di un’opera d’arte, in particolare quella da lui creata. Il bianco e nero delle fotografie di Christopher Broadbent è un rimando al proprio passato e a quanto pare, in particolar modo al periodo trascorso in collegio, dove nella biblioteca i testi d’arte erano corredate da immagini prive di colore. Quel colore che invece ha usato per molte pubblicità a partire dalla Barilla, Star, Pioneer…Un’altra sua intuizione è quella di catturare la transitorietà del bello, la corposità e l’immutabilità di queste forme che appaiono essere sempre accostate al concetto simbolico del e che rimanda con un fiore appassito o un frutto marcito in un vaso o su di un piatto all’inesorabile trascorrere del tempo. Da sempre la carriera artistica di questo grande maestro si confronta con la filosofia della vita, l’aspetto esistenziale è ciò che emerge dal suo lavoro oltre alla perfezione estrema della sua tecnica.

Questo attento ricercatore dell’immagine vive e lavora da venti anni a Milano (uno studio in via Santa Marta e un’abitazione in via Lanzone), un vero amore per questa zona che solo un milanese doc può sentire, il bello esteriore di architetture del passato unito alla storia di una zona che fino a cinquanta anni fa era considerata periferia con le sue case eleganti e popolari al tempo stesso alcune settecentesche, altre ottocentesche semidistrutte dalla guerra e poi ricostruite accanto ai palazzoni di stile fascista che cosituisce quel ponte tra passato e attualità, fatto di storia, di memoria e di luoghi dal sapore umano. La mostra è accompagnat da un catalogo con un testo introduttivo di Philippe Daverio.

 

 


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