MAURIZIO CABONA RICORDA A CENTO ANNI DALLA NASCITA IL GRANDE ALBERTO SORDI TRA FILM, TRASMISSIONI E POLITICA

Il critico de “Il Messaggero” ripercorre la carriera del celebre attore italiano tra aneddoti imperdibili e dettagli poco conosciuti della carriera sordiana.

 
Alberto SordiMaurizio Cabona è critico cinematografico del Messaggero, dopo esserlo stato del Giornale. Nel 2006 è stato giurato al Festival di Cannes, sezione “Un Certain regard”. Sul quotidiano milanese ha alternato per un quarto di secolo recensioni di libri e di film a resoconti di politica internazionale.

Cabona, come si conciliano finzione e realtà?

“La politica è realtà manipolata. Guidare un popolo è come dirigere un film: cambia solo il numero delle comparse, che in democrazia si chiamano elettori”.

Se al Giornale dal 1997 al 2011, lei scrive di film, come trova il tempo per servizi dall’estero?

“Ne avevo fatti alcuni nel decennio precedente. Poi ho viaggiato a lungo, più di tre mesi l’anno, innanzitutto per i grandi festival, che non sono solo fiere delle vanità e manifestazioni culturali”.

Che cosa sono anche? 

“Occasioni per piazzare sul mercato propaganda dei vari Paesi. Ma oggi non dobbiamo parlare dei cent’anni di Alberto Sordi?”.

Prima mi dica del rapporto realtà/cinema. 

“Mi sono occupato, per esempio, di Pizza Connection. Anni dopo Pizza Connection diventa un film di Damiano Damiani”.  

Era corrispondente dagli Stati Uniti?

“No, ero lì in vacanza. La corrispondente da New York voleva andarci, così sul caso subentro io. Ma ho un ricordo più attuale”.

Dica.

“Da Washington, D.C., con Alberto Pasolini Zanelli vado a Gettysburg, Pennsylvania, luogo della battaglia”. 

E allora?

“Alberto s’arrampica sul monumento ai caduti confederati, si affianca alla statua del generale Lee e io lo fotografo. Poi mi ci arrampico io e Alberto fotografa me. Una proto-selfie confederato”. 

Nobiltà della sconfitta. C’è altro?

“Nel maggio 1993 arrivo a Dresda, città bombardata nel febbraio 1945, su cui Kurt Vonnegut ha scritto Mattatoio 5. George Roy Hill ne ha poi tratto un film… Ci penso talmente che finisco in ospedale: colica renale”.

Dolorosissima! Eppure lei si è divertito?

“Il governo federale, di cui sono ospite, manda una Mercedes fiammante come ambulanza. Lungo l’autostrada in cemento degli anni ’30, arrivo a Berlino. Steso sulla barella, attraverso i finestrini, intravvedo la porta di Brandeburgo. Fin da bambino sognavo un invito del governo tedesco e di passare sotto quella Porta su una Mercedes… Un episodio da Ai confini della realtà”.

Altre auto prestigiose nei suoi viaggi?

“Hong Kong, febbraio 1996. La Riley nera anni ‘60 del governatore coloniale, Christopher Patten, si ferma quando l’autista mi vede attraversare la strada sulle strisce pedonali. Quale autista di auto blu italiana l’avrebbe fatto?”. 

Un collega famoso?

“Ottobre 1997, Helsinki. Per andare al Circolo polare occorrono scarpe da neve. Enzo Biagi, conosciuto il giorno prima, mi accompagna a cercarle, così tra le renne avrò anch’io i piedi caldi. Giugno 1998, Aleppo. Con Biagi e vari colleghi nel suk. Tratto l’acquisto di un tappeto in franco-genovese. Biagi mi dà man forte in franco-bolognese. Un’ora dopo il tappeto esce con noi a metà prezzo, quindi per il suo valore. Non è un grande affare, ma quanto abbiamo riso…”.  

Viggo Mortensen ne Il Signore degli Anelli

Di cinema non mi dice nulla?

“Londra, novembre 2001. Intervisto Viggo Mortensen sul film Il Signore degli Anelli. Lui si sorprende del mio ciondolo al collo, un piccolo martello di Thor. Infatti è uguale al suo. Ma lui è di origine danese”.

E da Cannes nulla da segnalare?

“Nel maggio 2006 il direttore del Festival mi fa sedere a cena di fronte al governatore della Banca di Francia: lui repubblicano, sua moglie monarchica. Capisco perché la V Repubblica è una monarchia repubblicana”.  

Veniamo all’esotico.

“Brazzaville, ottobre 2008, guerra civile finita da non molto. Il presidente del Congo mi invita a casa sua perché Savorgnan di Brazzà, fondatore della città, era friulano…”.

Secondo uno statista romagnolo, “Il cinema è l’arma più forte” Concorda?

“Quello statista lo dice nel 1937, inaugurando Cinecittà. Ma ora veniamo ad Alberto Sordi, di cui ricorre il centenario. Pensi: nel 1938 fa la comparsa in Scipione l’Africano di Carmine Gallone”.

A che età lei ha visto il primo film con Alberto Sordi?

“Cinque. Mia madre mi mandava al cinema con mia nonna, ma solo quando non c’era quasi nessuno, temendo il contagio della poliomielite. Sono così cresciuto con Alan Ladd, Richard Wydmark, James Stewart, Robert Mitchum, John Wayne, Cary Grant, Gary Cooper, David Niven…”.

… E Sordi?

“L’ho scoperto in Nerone, mio figlio di Steno”. 

Il suo personaggio però non è un eroe, figura di cui i bambini hanno bisogno.

“I film italiani del dopoguerra hanno pochi eroi, specie contemporanei. Ce ne sono solo in quelli che la Dc, nella persona di Giulio Andreotti, fa produrre a Giorgio Venturini, ex direttore della cinematografia a Venezia tra 1943 e 1945.  Il regista migliore del filone bellico è Francesco De Robertis, ex ufficiale di Marina. I personaggi di Sordi contrastano con quelli di Amedeo Nazzari, eroe fascista, e con quelli di Raf Vallone, eroe comunista”. 

Sordi incarna un esempio negativo?

“No. Lui mi fa scoprire con pulizia che c’è un’Italia sporca. Ma pur sempre Italia”.  

In particolare con quali personaggi?

“Il giornalista comunista e illuso in Una vita difficile di Dino Risi; il tenente nell’armistizio di Tutti a casa di Luigi Comencini; il viaggiatore infoiato e pavido nella Svezia nel Diavolo di Gianluigi Polidoro; l’impiegato statale giustiziere di Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli; il sospetto assassino nel Testimone di Jean-Louis Mocky”.  

Nanni Moretti, che si crede migliore, inveisce contro Sordi.

“Sì. ’Ti meriti Alberto Sordi!’, sbraita Moretti in Ecce Bombo al barista romano quando concorda col cliente che dice: ‘Destra, sinistra: sono tutti uguali…’”.

Alberto Sordi ne Il marchese del grillo

Sordi reagisce?

“Sì, ma se la prende calma: ‘Io so’ io e voi non siete un ca…’. La battuta di Gioacchino Belli è pronunciata da Sordi nel Marchese del Grillo di Mario Monicelli, un regista che non ama Moretti più di lui”.

Pochi collegano i due film, separati da anni.

“Non dubiti: chi doveva capire, ha capito”.  

Il limite di Sordi qual è?

“Sordi ha troppo presto il potere di liberarsi di figure essenziali come un produttore vero e un regista vero. Smette di essere un interprete, diventa una maschera. Lo sostiene un bravo sceneggiatore, Rodolfo Sonego, il cui odio di classe bilancia a sinistra l’ambiguità conservatrice di Sordi”. 

Sonego…

“… Firma con Dino Risi Una vita difficile, grande film dal finale è improbabile. Risi non ne era convinto”.

Age & Scarpelli, invece, scrivono per Sordi Tutti a casa.

“Qui il finale è ancor meno probabile. Sordi non lo vuole, Luigi Comencini sì e prevale lui”.

Il manifesto del film Il Federale di Luciano Salce

Il finale voluto da Sordi apparirà in …

“… Il Federale di Luciano Salce con Ugo Tognazzi”.

Sordi in sintesi.

“Intelligente, molto dotato, sa che l’Italia ha due partiti-chiesa, entrambi cattolici, Dc e Pci, quindi entrambi cauti sui costumi. Sa dove fermarsi, anche quando il Psi reclama e infine ottiene l’introduzione del divorzio”. 

Ma già prima, col consumismo, i costumi nazionali si rilassano.

“Sì, sotto la presidenza Saragat, la Rai-Tv propone agli italiani – senza ridere – il modello scandinavo che Giulio Andreotti considera un’idiozia. Sordi annusa l’aria e va in Svezia a girare Il diavolo, poi però, nelle interviste, ricorda di essere stato nell’Azione cattolica e di votare democristiano”. 

I rapporti con la Dc Sordi li sa mantenere.

“E’ più facile che col clero. Sordi si era già scottato nel 1951. Vittorio De Sica gli aveva dato i soldi per Mamma mia che impressione di Roberto Savarese. Ma il film – per la caricatura del giovane arrivista baciapile – non ottiene la classificazione “per tutti”, che apre la via alla distribuzione nelle diecimila sale del circuito cattolico”. 

Quindi…

“… Sordi va da padre Albino Galletto e si umilia, taglia il film”.

Giulio Andreotti
Giulio Andreotti

Eppure nel 1958, nel Moralista, è un adulto baciapile (e sessuofobo) che si intravvede. Pare tanto Oscar Luigi Scalfaro. 

“Nel 1958 Giulio Andreotti s’è appena visto togliere, a vantaggio di Scalfaro, la delega per la Dc agli spettacoli. Sordi lo sa e punzecchia Scalfaro per la gioia di Andreotti. Come vede, cinema e politica non si separano quasi mai”.


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