Mentre le feste continuano, una bella pellicola restaurata di Resnais e un documentario su Bergman

Tra i tanti eventi della giornata di ieri è doveroso soffermarsi sul documentario dedicato al grande regista svedese, scomparso nel 2007, “Trespassing Bergman” girato da Jane Maggnusson e Hainek Pallas. Attori e registi che hanno lavorato o che hanno avuto a che fare con Bergman sono stati invitati sull’Isola di Faro che si affaccia sul mare del Nord, dove il regista ha vissuto fino alla morte.

Il panorama nordico lo si vede all’inizio da un elicottero di colore rosso che sorvola le spiagge, le rocce, il mare, la piccola foresta e la casa studiata per pensare immersa nella natura più aspra e selvaggia. Lo schematismo architettonico e degli interni, nonché il silenzio straziante spezzato solo dal rumore delle onde e del vento, fanno pensare a un luogo cupo seppur bello che certo non giovava alla ricerca introspettiva ed esistenziale che cercava Bergman. Lì ha vissuto con le cinque mogli, su quelle spiagge e nei dintorni i suoi film più belli da “Il volto”, “Il silenzio”,” Settimo sigillo” (un cavaliere che gioca a scacchi con la morte), “Il posto delle fragole”, “Monica..”, “Il desiderio”, “Sinfonia…”; sempre lì ha scritto numerose sceneggiature dei suoi film, un mestiere che prima faceva per il teatro. La casa la prese poco prima di mettersi a lavorare a “Persona” e la fece sistemare allungandola e dipanandola in dependances legate l’una all’altra, bassa, in stile razionalista con tanto di sala proiezioni, video e letture. Nella biblioteca vi sono centinaia di libri che penso abbia letti tutti, classificandoli in maniera maniacale, contrassegnandoli persino per nazioni, temi, autori, anno. Li leggeva sdraiato su una poltrona in pelle e legno con tanto di largo poggiapiedi disegnata dagli Eames; la luce penetrava dalle finestre alle sue spalle e accanto un leggio e un tavolino che potrebbe avere disegnato Alvar Aalto o Carlo Mollino. Nel salotto con tanto di camino angolare e vista sul mare sempre perfettamente in linea con il minimalismo dell’abitazione, appoggiato su un tavolino a lato di un divano con incisi con penna i telefoni dei suoi amici e dei suoi amori, un bastone con il quale un tempo, prima di diventare nazista usava per andare a ballare. Sono tanti gli aspetti emersi sulla sua personalità, non che alcuni non si conoscessero o che non apparissero dal suoi film, come il suo ultimo capolavoro “Fanny e Alexander” che gli valse 4 Oscar e 6 Nomination, criticato dai suoi connazionali perché quell’anno lo Stato svedese diede l’intera somma messa a disposizione per il cinema tutta a Bergman e al suo direttore della fotografia, ma che battè tutti gli incassi internazionali. Tra le sue attrici preferite e mogli o amanti, Hariette Anderson (intervistata), Liv Ulmann e Bibi Anderson. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono i più belli. E’ qui che crea “La Fontana delle Vergini” una sorta di approfondimento tra paganesimo e cristianesimo. Bergman era un pagano che si rifaceva alle saghe islandesi del quale rimangono le tracce nella sua vita ma qui emerge anche lo studio del cristianesimo e la figura del Cristo che si sacrifica. Poco aveva di ateo Bergman. Nei filmati appare sempre sorridente con la troupe, lo si vede spesso con un cappello strano di lana nero con il bordo largo dal quale ogni tanto sbucano le sue lunghe orecchie. Ossessionato dal sesso e dalla morte oscilla tra visioni fantastiche, spesso incubi e immagini idilliache, ma ben due volte finisce in casa di cura a Stoccolma per curarsi e nemmeno da malato riesce a stare fermo con la scrittura, pensa nuove sceneggiature, trova il sistema propedeutico. Woody Allen lo definisce il miglior Maestro del Novecento al quale ispirarsi specie con le sue angosce esistenziali e la medesima paura per la Signora in nero con la falce. Anche il regista Michael Haneke in visita alla casa sostiene: “La paura nei film rafforza la cultura. Senza mistero e sofferenza non ci sarebbe l’arte”. Non c’è dubbio che se da un lato Ingmar Bergman soffriva di depressione, dall’altro cercava la solitudine, altrimenti non sarebbe andato a vivere in un luogo così isolato e così freddo dai tramonti spettacolari ma malinconici. E’ negli anno Settanta che evade il fisco e si rifugia in Germania per poi ricomparire cinque anni dopo e con la sua opera più nota, “Fanny e Alexander”(1981), per Lars Von Trier “Un bel film ma un insieme di altri elementi sviluppati nei lavori precedenti”. Hanno parlato da dentro la casa con tanto di pantofole di lana (come il regolamento comanda per una casa-museo) Ang-Lee, Martin Scorzese, Robert De Niro, Francis Ford Coppola, John Landis, Zang-zi.mou, Kitano (che lo paragona a Kurosawa), Isabella Rossellini (ha riportato i ricordi della madre arrabbiata perché non lasciava lo spazio alle madri attrici tenere rapporti con la famiglia), Lena Olin, Alexander Payne. Gli altri li abbiamo già citati prima, tutti intervistati da Ignacio Inarrito che faceva anche da voce narrante. Alcuni in questo cottage di pietra e legno si sentivano a disagio come Hariette Anderson: “E’ troppo presto ancora per stare qui, sembra appena morto, si avverte troppo la sua presenza…il luogo è troppo intimo”. E pensare che dai giovani avanguardisti veniva visto come un borghese conformista. Eppure “Scene da un matrimonio” provoca un aumento dei divorzi in Svezia del 60 per cento, in fondo aveva raccontato l’”ovvio del quotidiano”….


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Continuando la navigazione su questo blog, accetti l'utilizzo dei cookie. Maggiori informazioni

Questo blog utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo blog senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" si permette il loro utilizzo.
Per ulteriori informazioni consulta la cookie policy

Chiudi

Privacy Policy
Cookie Policy