STIAMO ANCORA ASPETTANDO GODOT…TEATRO CARCANO DI MILANO CON LA REGIA DI SCAPARRO

Il testo cardine di Samuel Beckett, “Aspettando Godot”, prodotto dal teatro Carcano di Miano con la regia di Maurizio Scaparro, segna un lavoro che colpisce per le “radici legate a una cultura europea millenaria”. Ho lavorato da giovane in aspettando Gotod con Jannacci e Gaber e tanto era la mia affezione al testo il mio cane lo chiamai Godot e destino della sorte, alla morte di questo ne trovai un altro uguale e lo chiami “Godot2°”. Godot è tutto, Godot è l’attesa, la speranza, è ciò che non si sa cosa è quel qualche cosa che si chiama “esistenza” e per la quale faticosamente tutti cerchiamo di rimanere aggrappati. Ma la vicenda dei due clochard che attendono in tanti modi che succeda qualche cosa è un testo che non finisce mai di affascinare. Quando Beckett pubblicò in francese “Aspettando Godot”, “En attendant Godot”, aveva 20 anni (la versione inglese avvenne nel 1954), io non ero ancora nata e un anno dopo Roger Blin firmava la prima messa in scena nella Ville Lumiére. Pochi mesi dopo approdò a Milano al Piccolo Teatro di Milano.

Torniamo allo spettcolo in scena al Carcano di Milano fino al 23 novembre. E’ la prima volta che Scaparro si cimenta con questo testo e per Vladimiro sceglie Luciano Virgilio e per Estragone, Antonio Salines. In scena anche Edoardo Sciravo, Enrico Bonavera e Michele Degirolamo, tutti veri professionisti che si muovono sotto la direzione artistica di Fioravante Cozzaglio. La scena è spoglia, un albero senza foglie è al centro del palco e i nostri barboni indossano veccchie giacche e cappelli a “bombetta”. Scaparro non nasconde la sua emozione quando dichiara, come abbiamo prima anticipato, che questo testo ha le sue radice legate a una cultura europea millenaria; “… senza confini che oggi stiamo colpevolmente dimenticando. Da europeo voglio essere antico e non vecchio, voglio essere padre e non schiavo, un testo che riemerge dalle macerie della guerra mondiale..ricco di molteplici contenuti”.

Immerso in un lontano e però vicino Novecento, che da un lato ricorda la Tour Eiffel e dall’altro l’aridità del presente, il testo, il testo di Beckett è un contenitore aperto alle più differenti chiavi di lettura. L’attesa in quella che appare come una landa desolata sta a indicare Dio o la speranza, ma può tranquillamente caricarsi di contenuti più laici, per esempio quello di un Europa che non riesce a manifestarsi al di là di una pura e semplice unione economica e che quindi si carica di aspettative salvifiche e insieme grottesche. Del resto l’autore inglese fu uno dei primi a comprendere che nel XX° secolo lo spazio teatrale della tragedia andava riducendosi ed era invece l’insensatezza con i suoi toni leggeri ma anche con la sua propensione al riso il vero campo da esplorare. E’ anche per questo che Vladimiro ed Estragone hanno le caratteristiche classiche delle coppie clownesche, così come l’altra coppia eguale, eppure contraria, quella del dispotico Pozzo e del suo servo Lucky. Anche  la messa in scena rientra in queste caratteristiche: la luce che trascolara, la luna di cartone, gli alberi sparuti, come fossero disegnati da una matita e il nulla attorno. Sopra ogni cosa echeggia la voce del giovane messaggero che annuncio l’eterno ritardo di un “Godot” di cui invano e però con speranza si attende l’arrivo.


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