THE BRIDGE OF THE DESERT. ISOLA LA CERTOSA NEL CONTESTO SEMPRE DELLA BIENNALE ARTE DI VENEZIA 2022

 

A Bridge to the Desert

“Un ponte per il deserto” è un gioco di allusioni a cui ognuno deve essere libero di dare la propria interpretazione, perché questo è anche l’invito dei RENN a fruire delle opere in totale libertà, scevri da qualsiasi influenza, in primis della personalità dell’Artista, che fin dall’inizio non han voluto firmare le opere.
Tuttavia in una monografia i lettori cercano una traccia, un parere con cui confrontarsi e il curatore non può sottrarsi dal proporre almeno alcune suggestioni. Alcune chiavi di lettura, limitandoci alle più immediate: il primo ponte è proprio quello della mostra, all’interno della Biennale Arte 2022, che presenta al pubblico internazionale questa opera originariamente affidata alla custodia del più antico deserto del mondo. Ma ponte è anche l’opera stessa, che invita a una riflessione sul rapporto tra le differenti culture umane tra di loro, rappresentate dalle sculture sparse per il deserto.

Un ponte che si riflette nello specchio concettuale di tutte le statue nella loro collettività, che rappresentano il genere umano come specie, a sua volta chiamato a una riflessione del proprio posto nella natura.

Una natura di una bellezza essenziale, fatta di colori, ombre, spazi e tempi propri di un luogo quanto più lontano dall’habitat artificiale odierno di quello che Aristotele ha chiamato “l’animale sociale” e che oggi dovremmo chiamare “l’animale artificiale”: gli etologi hanno infatti dimostrato che tantissime altre specie hanno strutture sociali, costruiscono e usano strumenti, ma solo l’uomo ha compiuto un distacco dalla natura così estremo dal porsi al di fuori di essa, modificandola a proprio piacimento, dalle profondità della terra allo spazio, dagli abissi del mare agli elementi costitutivi del patrimonio genetico. Nella scelta di porre queste figure di pietra in dialogo con questa natura dal sapore primordiale, quasi precedente alla formazione della vita stessa, in paesaggi che sembrano appartenere a pianeti ancora disabitati, si può intravvedere il richiamo a una riflessione su questo evento straordinario nella storia dell’universo: il prodotto di miliardi di anni di evoluzione casuale di particelle che hanno formato il tessuto stesso dello spazio-tempo, gli atomi, le molecole, le galassie, i pianeti e poi i mari per arrivare alle bolle primordiali di materia organica organizzata, evolutasi in “infinite forme bellissime e meravigliose”* sempre più complesse e interconnesse, fino alla comparsa di una di queste forme in grado di studiare tutte le altre e tutto questo, squarciare il velo di mistero oltre le capacità limitate dei propri apparati sensoriali per comprendere i meccanismi della natura stessa fino a piegarli ai propri bisogni e voleri. Questo prodotto di una evoluzione casuale che può ora fare eccezione ai fondamentali meccanismi che lo hanno creato e che hanno creato la natura tutta, deve ora confrontarsi con questo potere divino di scalzare la casualità e inventare il progresso: in un universo frutto del caso deve inventare il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Come non sentirsi individui pietrificati, dispersi nel deserto?

*L’origine della specie – Charles Darwin, 1859..

 

 


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