TRIONFA IL FILM DI JEAN-LUC LAGARCE CON LA COTILLARD, SEYDOUX, CASSEL….

Luciana Baldrighi

Cannes

Lo scrittore di successo torna nella casa che lo vide ragazzo. C’è ancora la madre, un fratello più grande, una sorella più piccola, ma dodici anni di assenza hanno in fondo reso tutti degli estranei. Il maggiore ha moglie e figli, la minore sucassel-cotillardbisce ancora la volontà materna e quanto a lui, l’illustre assente che in quell’arco di tempo è stato presente soltanto con brevi cartoline di saluti, più che un ritorno, si tratta di un addio. Omosessuale, ha una malattia che non lascia scampo, ma vorrebbe, come ha sempre fatto nelle cose della vita, tenere sotto controllo anche la realtà della propria morte.

Intorno al tavolo che li riunisce per il pranzo, rancori, polemiche, gelosie retrospettive si intrecciano ad affetti ritrovati, antiche complicità, speranze,  ma allo scrittore viene meno, singolarmente, proprio quel dono che lo ha reso famoso, la capacità di raccontare, mentre il linguaggio degli altri è confuso, rabbioso e/o intimidito: nel gioco delle parti loro dovrebbero essere lì per ascoltare…Ma forse è anche vero che Louis, questo è il suo nome, fino ad allora si è interessato  solo a se stesso e ora che dovrebbe fare gli altri partecipi della sua fine, scopre di non avere le parole, non sa come dirlo…

Tratto da un dramma di Jean-Luc Lagarce, che in Francia figura fra i libri di testo per l’agrégation, Juste la fin du monde, di Xavier Dolan, ieri in concorso, ha i pregi e i difetti delle opere teatrali trasformate in film. E’ una bella prova di attori, Marion Cotillard, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Nathalie Baye, Gaspard Ulliel, ma il testo uccide la messa in scena e il talento di Dolan fatica a trovare la cifra giusta perché il film decolli in quanto tale. I flash back non ce la fanno a dare un’idea del pregresso, il dover comunque sacrificare parte del testo originale gli toglie quelle sottigliezze, ma anche quei chiarimenti che a teatro rendevano tutto più diretto e comprensibile. La sensazione, più che di incomunicabilità è di confusione, la difficoltà di esprimere i sentimenti assume l’aspetto di una rissa, la ritrosia del trentenne protagonista arrivato lì per celebrare la cerimonia degli addii si muta in afasia che prima disorienta, poi fa impazientire lo spettatore. Mentre il pranzo continua si vorrebbe già essere al funerale.


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