ELLE DI PAUL VERHOEVEN CON LA HUPPERT PIACE MOLTO

Luciana Baldrighi

da Cannes

huppert verhoevenDa bambina Michèle ha incrociato la follia. Suo padre ha dato fuori di matto e con un fucile a pompa ha fatto una strage. Crescendo, si è costruita una corazza affinché niente e nessuno possa più turbarla. Affari e sentimenti li gestisce con una mano di ferro e se i primi vanno benissimo, anche dei secondi non si può lamentare: è in buoni rapporti con l’ex marito, saltuariamente va a letto con l’uomo della sua migliore amica, prova attrazione per il nuovo vicino di casa. Non ha problemi economici, Michèle,  e può dire a se stessa di avercela fatta, può dire a se stessa di avere il pieno controllo della propria vita. Poi, un giorno, uno sconosciuto, mascherato e vestito di nero, entra nel suo villino e la violenta, ma nemmeno questa volta lei accetta di sentirsi vinta, debole, in balia di qualcosa che non può controllare. Non denuncia lo stupro, burocrazia e pubblicità negative non fanno per lei, però prende le sue precauzioni: qualche lezione di tiro, l’acquisto di uno spray urticante e di un’arma da taglio, un martello sotto il cuscino… Soprattutto, cerca di capire chi possa essere il  misterioso aggressore, se abbia a che fare con il suo lontano passato (la possibilità che il padre, dopo anni di detenzione in un ospedale psichiatrico, possa ottenere la libertà condizionata ha riportato quella mattanza sui giornali e riaperto vecchie ferite) o se  vada invece cercato nel presente…

Elle, di Paul Verhoeven, ieri in concorso, è il frutto d un’accoppiata che non delude. Davanti alla macchina da presa c’è Isabelle Huppert con il suo ritratto di femmina dominante e castratrice. Dietro c’è il regista di Basic Instinct, Total Recall, Black Book, ovvero un maestro della suspense, del dubbio e dell’intrigo. In mezzo c’è il romanzo Oh, di Philippe Djian, da cui è tratta la sceneggiatura, esemplare nel disegnare tic, manie, modi di dire e di agire di quella Parigi borghese dove sesso, soldi e intellettualismo provocano miscele esplosive. Il risultato è un film dove ogni faccia ha il suo rovescio psicotico: il figlio di Michèle  è un bamboccione, ma isterico, l’anziana madre colleziona toy-boys e lifting, l’ex marito è uno scrittore fallito che si ostina a dragare giovani poco acculturate, la moglie ipercattolica del suo nuovo vicino di casa tiene segreta la violenza della propria vita di coppia e quanto alla stessa Michéle, dietro la voglia di vendetta nei confronti di chi l’ha violentata, c’è come l’oscura speranza che lo stupro si ripeta…

All’inizio Elle doveva avere un’ambientazione americana, questioni di budget e di distribuzione. Ma, dice Verhoeven, se si fosse presa quella strada non si sarebbe andato oltre il revenge movie: “Una donna che si vendica del suo aguzzino è un tema che quel mercato recepisce, ma a me interessava qualcosa di più e di diverso, più ambiguo, più bizzarro, più immorale se volete. E questo ci avrebbe provocato dei problemi, accuse di antifemminismo, cose così…E poi Isabelle Huppert era perfetta per quel ruolo, sapevo che aveva letto il romanzo di Djian, che era interessata…”

Paradossalmente, quello che è il punto di forza del film è anche il suo elemento di debolezza: l’ambientazione borghese, il gioco delle coppie, il cinismo scintillante dei dialoghi, l’amoralità e la durezza di fondo rimandano a temi, protagonisti e situazioni già visti sullo schermo, già, come dire, arati. Si tratta di tipi umani e luoghi conosciuti e pur nella sua imprevedibilità Elle alla fine è prevedibile.

Forushande farhadiL’esatto contrario di quanto invece accade nell’altra pellicola ieri in concorso, che affronta un tema simile, la violenza in casa, improvvisa e sconosciuta, su una donna, ma lo fa in un contesto del tutto alieno a uno spettatore occidentale. Stiamo parlando di , la vera sorpresa del Festival. In una Theran eternamente in costruzione, Emad e Rena debbono abbandonare il loro appartamento, perché lo stabile è pericolante, e cercare un nuovo alloggio provvisorio. Sono giovani, si amano, lui è un insegnante, hanno entrambi la passione per il teatro e infatti hanno messo in scena Morte di un commesso viaggiatore di Henry Miller, pur se la censura obbliga a recitare completamente vestiti le scene in cui si dovrebbe essere déshabillés…Una sera però nella nuova casa Rana viene aggredita da uno sconosciuto. Qualcuno ha suonato al citofono, lei ha pensato che fosse il marito, ha lasciato la porta aperta ed è andata in bagno a farsi la doccia…Per il mite Emad, il professore che gli studenti adorano per la sua pazienza, bontà e disponibilità, è come se l’aggredito fosse lui. E’ stata violata la sua vita, la sua intimità, il suo decoro, la sua purezza…Se alla moglie è rimasta la paura per l’aggressione, lui vuole la vendetta. Deve scoprire e a punire l’aggressore, perché si tratta di un fatto talmente privato che nemmeno la polizia deve esserne informata.

Come titolo Forushande rimanda proprio alla pièce di Miller: chi infatti è entrato in quella casa, la cui inquilina precedente, si viene a sapere, era una prostituta, dev’essere un venditore a domicilio, già cliente della donna. Nel fuggire dopo l’aggressione, ha infatti lasciato le chiavi di un furgoncino, rimasto parcheggiato sotto casa… La tensione cresce man mano che la coppia va in crisi, ma Farhadi le costruisce intorno il ritratto di una nazione dove tradizione e progresso faticano a incontrarsi e non basta amare il cinema, il teatro e la letteratura americana per sentirsi moderni come oltreoceano.


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