SCHEDE..SEI ORE DA PERDERE di ROBERT BRASILLACH, GIORNALISTA, ROMANZIERE…EDIZIONI SETTECOLORI ANCHE QUESTO LIBRO COME “I MAIA” E IL DISASTRO DI PAVIA DI GIONO SONO STATI PRESENTATI A PIETRASANTA A LIBRO POLIS IDEATA A PIETRASANTA DA SEBASTIANO CAPUTO E LORENZO VITELLI

“Sei ore da perdere”….. 1943….Nella Francia occupata dai tedeschi, un giovane ufficiale, Robert B., rientra a Parigi dopo più di tre anni di prigionia. Nell’attesa di un treno che, dalla Gare de Lyon, lo riporti finalmente a casa, ha un pugno di ore da spendere nella capitale e un impegno da assolvere: trovare Marie-Anne, la ragazza che il suo compagno dell’Oflag in cui erano rinchiusi, Bruno Berthier, ha conosciuto durante una breve licenza dal fronte e di cui è rimasto innamorato.

Ha inizio così una ricerca attraverso una città che non ha più nulla della Parigi da Robert conosciuta prima della guerra: strade vuote di automobili, mercato nero, code, vetrine spoglie, un’atmosfera di paura, rabbia, disordine morale, troppo volti sconosciuti, nessun volto che riesca a risplendere nel ricordo.

Via via che le ore scorrono, la ricerca assume i contorni di una vera e propria inchiesta, perché anche la polizia è intanto sulle tracce di Marie-Ange, resasi irreperibile: il corpo del suo ex marito è stato infatti ritrovato alla frontiera franco-belga, in un camion contenente merci di contrabbando. E perché? C’erano ancora rapporti fra loro? Che ne è stato del figlio che avevano messo al mondo?

In Sei ore da perdere, Robert Brasillach costruisce un perfetto noir alla Simenon dove una struttura a incastro illumina di volta in volta gli indizi in vista della loro finale collocazione, ma traccia altresì un crudele quanto illuminante ritratto di una capitale in tempo di guerra dove il senso del <<tragico sociale>< fa strame di ogni illusione sul passato e sull’innocenza dei suoi protagonisti.

Scritto di getto in pochi mesi, pubblicato come feuilleton per il settimanale <<La Révolution nationale dal marzo al giugno del 1944, questo poliziesco d’atmosfera è l’ultima prova narrativa di Brasillach e un’ulteriore conferma, qualora ancora ce ne fosse bisogno, del suo grande talento di narratore.

 

Robert Brasillach (1909-1945) fu giornalista e critico militante, saggista, ma soprattutto romanziere (Le voleurs d’étincelles, 1932; L’enfant de la nuit, 1934; Le Marchand d’oiseaux, 1936; Comme le temps passe, 1937, edizione italiana, La ruota del tempo, Settecolori, 1985; La Conquerante, 1942). L’attrazione della rivoluzione fascista (insieme con i miti corneilliani), si tradusse in lui in quel singolare romanzo che è Le sept couleurs (1939, traduzione italiana, I sette colori, SE, 2019).

Alla liberazione, nel 1944, venne processato e condannato a morte per collaborazionismo. Una domanda di grazia indirizzata al generale de Gaulle e firmata da molti intellettuali rimase senza effetti: Brasillach fu fucilato il 6 febbraio 1945.

 

Giochiamo all’alfabeto del viaggiatore. Dalla A del monte Athos alla mitica X di Xanadu, passando per la S dell’isola di Sarawak e per la T della Tailandia, pochi scrittori  sono stati, come Steven Runciman, l’epitome di quei viaggiatori dell’Impero britannico per i quali il mondo era la loro ostrica preferita.

La sua vita e i suoi soggiorni nei più svariati Paesi -Bulgaria, Messico, Cina, Turchia, Siria- racchiudono una moltitudine di storie (affascinanti, esotiche, divertenti) di cui questo singolare Alfabeto del viaggiatore è lo straordinario compendio. Così, di volta in volta, troviamo Sir Steven aiutare a far nascere un bambino sula strada per Tessalonica; rimanere assediato nel 1925 nella città cinese di Tiensin; esaminare con circospezione la collezione di un cacciatore di teste nel Borneo; vedere i fantasmi in compagnia del principe del Siam; versare cera bollente sulla testa  calva del maresciallo Montgomery in una pasqua bellica a Gerusalemme…

Quanto più vicino all’autobiografia che non volle mai scrivere, Alfabeto del viaggiatore abbraccia in pratica l’intero <<secolo breve>> che Steven Runciman percorse in lungo e in largo, da studioso e da diplomatico sui generis, con uno spirito acuto e divertito, nonché un’attrazione, ricambiata, per teste coronate e aristocrazie in via di sparizione. Così, questo libro è anche l’estremo omaggio a un’epoca e a un mondo in cui viaggiare era ancora un piacere.

Steven Runciman (1903-2002) è stato il più autorevole studioso del fenomeno delle crociate. Tra i suoi lavori tradotti in italiano, punti di riferimento imprescindibile e modelli di divulgazione storica, ricordiamo Storia delle crociate, La civiltà bizantina, La caduta di Constantinopoli, I vespri siciliani, Il raja bianco.

Estate 1914. L’Emden, un incrociatore tedesco, solca il mare di Cina e l’Oceano indiano in cerca di navi nemiche da affondare. Fra gli ufficiali spicca la figura del barone Hohber, specialista del mondo arabo, nonché a lungo agente di collegamento dal Medio Oriente per il governo austro-ungarico di cui è fedele suddito.

Durante la navigazione e nel susseguirsi di abbordaggi, affondamenti, sbarchi, marce forzate via terra che punteggeranno l’intera epopea bellica dell’Emden e del suo equipaggio, Hohber si sofferma sul suo passato: la sua infanzia al Cairo, dove ha contratto il <<virus arabo>>, i suoi vicoli, quelli di Aleppo e di Sana; il suo castello di famiglia nella Bassa Austria; le sue cavalcate in Moravia e in Boemia; i suoi amori…Ma è anche la storia a scorrere davanti ai suoi occhi:  i campi di battaglia del 1866; i porti di Tsing Tao, Penang, Madras, Trieste; i combattimenti dei Giovani Turchi a Costantinopoli… Attraverso la vita stessa di Hohber, sempre più stanco della guerra come della politica, in controluce si può vedere la vecchia monarchia absburgica raggiungere, nella sua agonia, l’impero ottomano.

Basandosi su un fatto storico, in La crociera dell’Emden Jean-Jacques Langendorf rende visibile il sentimento estetico della guerra ancora illusoriamente presente nelle società europee di fine Ottocento e destinato a scomparire nel carnaio della Grande guerra. In contrapposizione con il furore bellico, delinea e rafforza l’immagine di chi, come il suo protagonista, vede nell’Oriente, la sua filosofia, la sua religione, il suo stile di vita, una possibile alternativa.

Jean-Jacques Langendorf è nato nel 1938 vicino a Ginevra e vive in Austria. Fra i suoi libri tradotti in italiano, Una sfida in Kurdistan, Elogio funebre del generale von Lignitz, La contessa Graziani. Per Settecolori è uscito Neutrali contro tutti (2007).

 

FANTOMAS. Vita, amori e morte del Signore del crimine

FANTOMAS: LA SAGA.

Vita, amori e morte del Signore del crimine

LE AVVENTURE DI FANTOMAS

Vita, amori e morte del Signore del crimine

A più di un secolo dalla sua uscita in Francia e oltre sessant’anni dopo la sua unica pubblicazione in Italia la saga di Fantomas viene ora riproposta all’attenzione del lettore. Salutata all’epoca da Guillaume Apollinaire come <<uno straordinario romanzo-fiume pieno di vita e di immaginazione>>acclamato da Blaise Cendrars come <<l’Eneide dei tempi moderni>>, portato alle stelle dal movimento surrealista, l’opera di Pierre Souvestre e Marcel Allain conserva a tutt’oggi la sua in vitalità inventiva e beffarda. E il mistero incarnato dal suo personaggio principale rimane tanto affascinante quanto degno delle figure più inquietanti della letteratura contemporanea.

Custode di un <<segreto formidabile>>,  il Genio del male Fantomas rinasce incessantemente dalle sue ceneri: utilizza gli stratagemmi più imprevedibili per infrangere l’ordine costituito, dominare i potenti, inserirsi in tutte le giunture della società urbana, a Parigi come a Londra o a Berlino… Rigurgitante di intrighi mozzafiato e di colpi di scena imprevedibili, la saga di Fantomas permette anche, nel suo ispirarsi ai fatti di cronaca e ai personaggi della vita reale che  coprivano le prime pagine della stampa dell’epoca, un’immersione nella storia di un mondo scomparso. Mischiando romanzo di costume, romanzo poliziesco e romanzo di spionaggio, le avventure di Fantomas non cesseranno di attrarre nuove generazioni di lettori.

Biografia

Pierre Souvestre (1874-1914) e Marcel Allain (1885-1969), sono stati avvocati, scrittori e giornalisti. Il ciclo di Fantomas è il loro capolavoro.

 

EL GRECO DIPINGE IL GRANDE INQUISITORE

Nella Spagna di fine Cinquecento il maestro Dominikos Theotokopoulos, meglio noto come el Greco, riceve un invito a presentarsi a Siviglia. Proviene dal Grande inquisitore, il cardinale Nino de Guevara, ed è il suo cappellano a esserne latore: << Dovrete portare il necessario per dipingere>>gli dice. <<Di tutto il resto parlerete con l’amministratore>>.

El Greco ha già incontrato una volta il cardinale, a Madrid, all’ Escorial. Quel giorno c’era anche Filippo II di Spagna: <<Il quadro è finito, anche se a noi non piace>> gli aveva detto allora con freddezza il sovrano, riferendosi al Martirio di San Maurizio, e il cuore del pittore aveva preso a battere furiosamente…

Anche adesso, dopo quell’invito, el Greco ha paura: ritrarre il Grande inquisitore vuol dire confrontarsi con il potere, quello più impenetrabile e più implacabile, tanto più che Filippo II è appena morto e il mondo sembra essersi fermato. Occorre molta astuzia, riflette, ma fino a dove un’anima può fingere senza tradire completamente le proprie convinzioni. E fine a dove l’arte può compiacere il potere?

Scintillante riflessione sulle responsabilità e il ruolo dell’arte dell’artista di fronte a un potere assoluto e totalitario in cui la giustizia è irrimediabilmente dissociata dalla misericordia, Andres descrive la vita dei suoi protagonisti, siano martiri o carnefici, come una prigione senza sbarre, ma da cui però non si può uscire. Eppure, ci dice, sotto la cenere la brace del sentimento elementare di umanità è destinata a non estinguersi.

 

Biografia.

Stefan Andres (1906-1970), figura di spicco della vita culturale tedesca del secondo dopoguerra, fu negli anni Trenta un esponente del cosiddetto <<esilio interiore>> nella Germania nazionalsocialista. Sposato con Dorothee Freudiger, di famiglia ebraica, e visto perciò con sempre maggior sospetto dal regime hitleriano, nel 1937 ottenne il permesso di lasciare il Paese per l’Italia: vivrà a Positano sino alla fine della guerra. Tornato definitivamente nel nostro Paese nel 1961, trascorrerà a Roma i suoi ultimi anni di vita. Il racconto El Greco incontra il Grande inquisitore è considerato dalla critica il suo capolavoro.


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