MARIO SIRONI E LA POLITICA DEL NOVECENTO A ROMA ALLA GALLERIA RUSSO

Margheritas S la femme qui inventa Mussolini

Le Opere dalle Collezioni  di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci a cura di Fabio Benzi..dal  12 marzo – 16 aprile 2022 Inaugurazione sabato 12 marzo dalle 18,00 Cocktail

Galleria Russo
Via Alibert, 20
00187 Roma Info:

Testi in catalogo di Fabio Benzi e Elena Pontiggia

L’intenso focus su Mario Sironi aperto a Milano, in occasione dei sessant’anni dalla morte dell’artista, da un’approfondita retrospettiva del Museo del Novecento si chiude alla Galleria Russo di Roma con la mostra “Mario Sironi. La poetica del Novecento. Opere dalle collezioni di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci”. Curata da Fabio Benzi, la rassegna è caratterizza da un taglio di estremo interesse: le oltre settanta opere in esposizione provengono in larga parte da due sole importantissime raccolte, una assemblata da Margherita Sarfatti e l’altra da Ada Catenacci Balzarotti. Ci sono dunque due donne all’origine di due tra le più significative collezioni di arte italiana del ‘900 di cui si abbia memoria.

Mario Sironi nelle scelte di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci

Sia Margherita Sarfatti che Ada Catenacci hanno riconosciuto in Mario Sironi il più grande artista del loro tempo collezionandone centinaia di selezionatissime opere.
Relegata, nella narrazione post bellica, al ruolo di amante di Benito Mussolini, la figura di Margherita Sarfatti è in realtà quella di una stella di prima grandezza. Talent scout dal fiuto infallibile, prima donna europea critico d’arte militante e anche donna di potere capace di surclassare il ruolo di qualsiasi maschio dominante del suo tempo, Margherita fu la vera domina dell’arte italiana tra il 1922 e il 1929, arrivando a forgiare un movimento, il Novecento italiano, di capitale importanza nello sviluppo della storia dell’arte moderna europea. Coltissima, poliglotta, cosmopolita, va anche ricordata come autrice di uno dei successi editoriali internazionali degli anni ‘20: Dux, biografia di Benito Mussolini tradotta in innumerevoli lingue e campione assoluto di vendite.

Meno nota al grande pubblico, ma anche lei perfettamente aderente al prototipo di donna colta ed emancipata di cui il secondo decennio del ‘900 offre non pochi esempi, Ada Catenacci si avvicina al mondo dell’arte sul finire degli anni ’30. Il motivo che la spinge, insieme al marito Giuseppe Balzarotti, all’acquisto di dipinti e sculture è quello della ricerca di un investimento alternativo ai titoli esteri, di cui, dal 1935, è vietato il possesso. Da quel primo impulso del tutto accidentale Ada matura una passione autentica e autonoma, coltivata non solo stringendo rapporti con i più importanti galleristi di Milano – la grande piazza del mercato italiano dell’arte – ma anche andando a scovare gli artisti direttamente nei loro atelier. Ai nuovi amici apre le porte della bellissima casa fatta costruire sul lago di Garda, sede di un salotto culturale che lei, raffinata e cosmopolita rampolla di uno dei più importanti industriali tessili italiani, governa con brillante disinvoltura e grande cuore. Il profilo di Ada Catenacci è infatti quello di una vera mecenate, sempre pronta ad aiutare gli artisti in difficoltà acquistando le loro opere. Il suo ultimo acquisto di opere di Mario Sironi esprime alla perfezione questo tratto del suo approccio collezionistico.

Il ruolo del disegno nella ricerca di Mario Sironi

La storia di quell’acquisizione merita di essere raccontata, fosse solo perché, nella ricostruzione del catalogo sironiano, è stata una questione rimasta per lungo tempo irrisolta.
Poco prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale, l’amministratore del Popolo d’Italia, organo di stampa del Partito Nazionale Fascista, affida al gallerista Ettore Gian Ferrari una cartella contenente 344 disegni eseguiti da Mario Sironi nel lungo periodo di collaborazione con il giornale. A causa del drammatico incalzare degli eventi bellici il progetto di farne una mostra viene di lì a poco accantonato. Dopo la caduta del fascismo, l’eccezionale corpus di opere si ritrova senza proprietario e Gian Ferrari decide di restituirle allo stesso Sironi che in quel momento, siamo nel 1946, vive una situazione di grande difficoltà economica. La speranza è che l’artista riesca a collocare i disegni sul mercato, impresa resa peraltro ardua dal loro esplicito contenuto politico. A farsi avanti per l’acquisto al solo scopo di aiutare l’amico sarà Ada Catenacci. Della cartella si perdono subito le tracce, riemergerà soltanto all’inizio degli anni 2000 dalla ricognizione dei cespiti ereditari di Federico Balzarotti, figlio di Ada e geloso custode sino alla morte del segreto della sopravvivenza di quelle opere scottanti.

La presenza in mostra di una quarantina di quei fogli, insieme ad altre opere grafiche di diversa provenienza, consente al curatore Fabio Benzi di evidenziare la centralità del disegno nella ricerca di Mario Sironi, autore, nel corso della sua carriera, di un eccezionale compendio di disegni, illustrazioni, vignette, manifesti e cartoline: “In Sironi il processo intellettuale rappresentato dal disegno, preliminare o autonomo non importa, assume un ruolo esponenziale rispetto a qualsiasi altro artista contemporaneo: la quantità straordinaria di opere di questo genere che realizzò nella sua vita, e il rovello tecnico che le permea, utilizzando senza soluzione di continuità ogni medium possibile (dalla matita al carboncino, dall’acquerello alla tempera, dal collage all’inchiostro), arrivando a sconfinare senza apparente trapasso nel quadro definitivo (e viceversa), costituisce un unicum che davvero lascia stupefatti per vastità, coerenza e sforzo progettuale”.

Le opere in mostra

Le altre opere in esposizione tracciano un sintetico percorso degli sviluppi della ricerca di Sironi dal 1908 alla fine degli anni ’50, rendendo conto di quella vastità creativa che trova pochi paragoni tra gli artisti del suo secolo: “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”, scriverà di lui uno dei suoi più entusiasti supporter, Pablo Picasso.
L’ansia di modernità che lo divora gli impone sperimentazioni continue e il confronto con gli ambienti artistici d’avanguardia. Di ogni novità intercettata e cavalcata riesce sempre a restituire una sua personale, inconfondibile interpretazione.
Di un percorso autonomo parla già la pittura degli esordi, evocata in mostra da Paesaggio urbano, un pastello del 1908 che mostra una pennellata divisionista resa diversa da quella dell’amico-maestro Giacomo Balla dall’innesto di componenti espressioniste.
Del tutto originale anche la sua visione del futurismo, movimento a cui aderisce sulla scia dell’amico Umberto Boccioni. La Ballerina, uno strepitoso collage del 1916, e le altre opere in esposizione eseguite in quella fase parlano di un linguaggio più proteso verso le avanguardie russe che il cubismo francese osservato dai suoi compagni. Gli altri scompongono, cercando il segreto del movimento, lui sintetizza inventando semplificazioni geometriche.
Le suggestioni metafisiche che contaminano il suo lavoro all’inizio degli anni ’20 (Donna con lo specchio, 1921-22) producono opere popolate di veneri e manichini, lontane tuttavia dai lavori di de Chirico e Carrà per un’atmosfera di solitudine e tragicità quotidiana ancora senza confronti nell’arte europea del dopoguerra (Fabio Benzi).
Tragica, desolata eppure grandiosa è anche la bellissima Periferia urbana eseguita tra 1922 e 1923, opera paradigmatica della produzione di quell’insuperabile interprete della modernità urbana del ‘900 che fu Mario Sironi.
Il laconico Pastore del 1931-32 introduce all’invenzione della classicità novecentista, essenziale e volumetrica, un’arte che reinventa in chiave moderna Giotto e Masaccio.
Studi preparatori per il bassorilievo del Palazzo dei Giornali e per composizioni murali rimandano all’impegno per l’architettura e ai nove anni (1934-1943) di totale rifiuto del quadro da cavalletto, l’arte borghese sostituita dall’aspro lavoro di conquista delle leggi dell’arte murale, l’arte sociale per eccellenza.
Il percorso espositivo è chiuso da alcuni esempi della produzione del dopoguerra, anni marcati dalla disillusione politica e da un pessimismo esistenziale che si riflette sul suo lavoro senza rallentarlo. Il groviglio di linee colorate che caratterizza le ultime composizioni lo conduce ai confini con l’informale.

Mario Sironi muore il 13 agosto del 1961 in una Milano deserta come uno dei suoi crudeli paesaggi urbani.


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