UN INVIATO STRAORDINARIO, ETTORE MO..UNA VITA CONTROCORRENTE

Con la scomparsa del collega e amico Ettore Mo all’età di 91 anni, se ne va quello che, insieme con Bernardo Valli, è stato l’ultimo esemplare dei grandi inviati sul campo affermatisi a partire dal secondo dopoguerra.

Nato nel 1932 a Borgomanero, Mo approdò al giornalismo relativamente tardi quando cioè  aveva superato i trenta anni. Prima di allora, la sua era stata una esistenza, come lui stesso ebbe a definirla, di un personaggio uscito dalla fantasia di Joseph Conrad. Era stato cameriere e steward sulle navi da crociera, aveva insegnat, aveva insegnato francese in un collegio spagnolo, aveva fatto il lavapiatti.

Quando c’era da prendere un treno o un piroscafo o un aereo che lo portasse nei luoghi dove la sua ansia di vedere il mondo lo spingeva, Mo riusciva sempre a risparmiare per pagarsi il biglietto o a barattare il suo lavoro con il passaggio che gli serviva. Al giornalismo approdò dalla porta di servizio, che in questo caso era l’ufficio di corrispondenza di Londra guidato da Piero Ottone, per il Corriere della Sera. Mai giornalisti furono cosi diversi come il compassato e profondamente british Ottone e il piccolo e pittoresco provinciale Mo, che però il mondo lo aveva girato e non si era limitato ai grandi alberghi e ai club in stile londinese. Per piu di un decennio Mo fu un po’ una sorta di ragazzo di bottega nella vecchia Inghilterra che, perso l’impero, andava scoprendo il cool della musica e della moda. Per più di un decennio Ettore fu il ragazzo di bottega della redazione inglese del Corsera: scriveva di spettacolo, di costume, di varia umanità, nulla che lasciasse prevedere il suo futuro. La svolta avvenne alla fine degli anni Settanta quando, richiamato in Italia, si vide offrire da Franco Di Bella, uno che i cronisti di razza li riconosceva al primo sguardo, la promozione a inviato e il suo successivo mandarlo in Iran a seguire la rivoluzione Khomeinista. Da quel momento e per i successivi 30 anni il nostro inviato diventa il grande reporter dei luoghi caldi del pianeta e le sue corrispondenze gli danno la stessa popolarità di quelle figure del giornalismo televisivo quali Ruggero Orlando (New York) e Demetrio Volcic (Mosca). Fra le tante corrispondenze di Mo forse la più famosa è quella che riguarda l’Afganistan (ai tempi invasa dalla Russia) e alla figura di Massud il “Leone” del Panshir, capo indiscusso della lotta contro i Talebani. Ma non possono essere dimenticati i suoi reportages sulla guerra nell’ex Jugoslavia, in Cecenia, in Pakistan e in India, né il suo aver coperto le prime avvisaglie di ciò che è adesso sotto i nostri occhi, ovvero la nascita del movimento Hamas a Gaza, insediatosi lì dopo essere stato espulso dal Libano su ordine dello Stato di Israele.

La cifra distintiva del suo giornalismo era la parsimonia nell’uso degli aggettivi, la più totale mancanza di protagonismo e di egocentrismo, l’assoluta aderenza  alle fonti intese come luoghi e fatti visti di prima mano, personaggi intervistati e mai descritti per sentito dire, l’assoluto disprezzo per ogni forma di sensazionalismo. Fra i suoi maestri ideali, oltre il già citato Conrad, un posto d’onore l’aveva Hemingway, per la secchezza dello stile, per l’amore ella parola vera e della parola giusta al posto della parola enfatica.

Chi ha avuto, come me, la fortuna di conoscerlo, restava incantato dalla sua semplicità, l’assoluta assenza di ogni snobismo, l’attenzione cortese verso chi era più giovane e meno inesperto di lui, la più totale disponibilità a esserti d’aiuto, si trattasse della presentazione di un libro, della partecipazione a un convegno, della richiesta di un consiglio. Come tutti i grandi, non se la tirava: non ne aveva bisogno, non faceva parte della sua indole e del suo stile. Era un uomo generoso. Ci mancherà, in un giornalismo che sempre più ha perso le sue coordinate e la sua stessa ragion d’essere.

fRa i suoi libri piu’ amati:  Kabul, Freni, Malinconia, Lontano da qui, I dimenticati, Gulag e Sporche guerre….


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